Troppe fotografie digitali impigriscono il cervello e rallentano i processi mnemonici, oltre a creare una sorta di apprensione da scatto compulsivo . La diffusione capillare degli smartphone, che sono a tutti gli effetti macchine fotografiche digitali tascabili, ha incrementato la smania da fotografia un po’ ovunque. Così, tra uno sguardo all’account Facebook e un controllo della posta elettronica, gli utenti immortalano migliaia di momenti considerati unici (ma quali non lo sono?) e contribuiscono alla creazione di una esistenza parallela, vissuta per interposto fotogramma . Ai concerti si fanno video e fotografie ogni pochi secondi, invece di guardare e ascoltare; in visita a una città, non si osservano le persone, gli angoli delle piazze e non si ‘annusano’ le strade, ma si salva tutto sul proprio cellulare; nei musei, non si fissano a lungo i dipinti, cercandone i dettagli, ma li si immortalano – uno a uno – per poi fare un salto alla libreria in cerca di gadget. Selfie e fotografie compulsive aggravano così l’alienazione già presente in molte tecnologie digitali . A sostenerlo è uno studio neozelandese condiviso dalla American Psychiatric Association (ma pensao lo stesso ad Harvard e alla rivista Psycological Science), che ha notato come le persone devote agli scatti digitali manifestino un vero e proprio disturbo mentale: sono sempre alla ricerca dell’inquadratura perfetta, dello scorcio ideale, della testimonianza costante, per avere e dare la sensazione di partecipare in modo più attivo alla realtà. Quando invece si sta solo mediando un’esperienza, quella sì, inestimabile.
Ansia da selfie, memoria in pericolo

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