Un lampo a ciel sereno, o quasi. Mercoledì 12 settembre alcuni ribelli libici hanno dato alle fiamme il consolato americano a Bengasi, costringendo alla fuga un gruppo di diplomatici, tra cui lo stesso ambasciatore statunitense, Chris Stevens. La rappresaglia, scatenata dalla proiezione in Libia di un film americano che denigrava l’Islam, è però proseguita per le strade della città, dove un razzo ha colpito il convoglio in fuga dal consolato, uccidendo Stevens. “Attacco in Libia, muore ambasciatore Usa”, titolava pochi minuti più tardi The Guardian, imitato da Les Echos che parlava di “attentato mortale per l’ambasciatore americano”. Secondo La Opinion, “l’attacco contro gli usa è stato premeditato”, mentre Le Point parla di “dieci sospetti arrestati”. Difficile in un contesto come quello descritto non pensare a collegamenti con i terroristi di Al Qaeda, anche se al momento nessuno ha rivendicato l’attentato: “Torna Al Qaeda”, si legge sul Los Angeles Times. Il mondo islamico, in conseguenza del film che ha fatto da miccia per l’uccisione di Bengasi, ha rinfocolato i propri sentimenti anti-americani: proteste violente sono scoppiate in Yemen ed Egitto, dove “i dimostranti cantano ‘morte all’America’”, come scrive The Independent.
Attacco in Libia, muore ambasciatore Usa (The Guardian)

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