di Giorgio Bellocci Per ricordare certe personalità o eventi storici non si dovrebbero aspettare gli anniversari (morte, nascita, accadimento). Chissà poi perché ci si è assuefatti a un vagheggiamento di idea pitagorica? Perché il ventennale della scomparsa di Massimo Troisi, per esempio, conta di più degli undici o dei sedici anni trascorsi? Ecco, Troisi, scomparso a soli quarantuno anni il 4 giugno 1994, è una di quelle figure che andrebbero omaggiate almeno una volta all’anno, alla pari dei tantissimi che nel mondo delle arti o in altri ambiti hanno contribuito a fare la storia dell’Italia migliore; quella che ci fa sentire realmente un orgoglioso senso di appartenenza. Ad ogni buon conto la copertura Rai di questi giorni, tra speciali del secondo e terzo canale e Rai Storia, è stata di assoluto livello. Dagli archivi sono emersi frammenti del genio di Troisi: spezzoni di film, interviste dell’epoca a lui e a diversi addetti ai lavori o semplici amici, ma anche chiacchierate realizzate per l’occasione. Se oggi Troisi fosse ancora vivo magari sarebbe impegnato in ambito teatrale, oppure ancora in quello cinematografico a compimento di un percorso artistico pari a quello dei suoi registi coetanei o quasi (Benigni, Tornatore, Salvatores, tra gli altri). Di certo non perderebbe occasione, magari attraverso i social network, di rallegrare le nostre tristi giornate. Con il suo garbo e il suo carisma; mai banale, mai volgare. La mancanza di Troisi è una di quelle che si possono definire incolmabili.
Bene la Rai su Troisi

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