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Bitcoin, moneta virtuale e pericolosa

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La crisi economica aveva spinto i consumatori a fare un pensiero alla moneta virtuale Bitcoin, lanciata da un anonimo nel 2009 conosciuto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto. La valuta del web aveva raggiunto un controvalore totale di circa 1 miliardo di dollari, arrivando a superare quello di almeno una ventina di paesi del mondo. Appena un mese fa l’Ansa riportava come le crisi economiche degli ultimi anni in Europa aveva involontariamente spinto verso Bitcoin, aumentando nei consumatori la convinzione di poter adottare una simile moneta al posto dell’euro e della valute nazionali fuori dall’Europa. Il motivo era molto semplice: con i Bitcoin si poteva, e si può tuttora, comprare già qualcosa di importante; dalle automobili usate ai software, fino agli scambi economici illeciti tra trafficanti di droga ed armi. Nata nel sottobosco della rete, Bitocin è uscita dall’anonimato anche grazie all’adozione che ne è stata fatta da alcune aziende come Automattic che gestisce la piattaforma di blog WordPress. Negli ultimi mesi il valore di un Bitcoin era salito parecchio fino a toccare la cifra di 145 dollari almeno fino a quando Mt. Gox, il principale mercato di scambio della moneta virtuale ha cominciato a non funzionare più. Come successo ai sistemi della Nasdaq quando Facebook debuttò in Borsa, così il portale sembra essere crollato sotto il peso delle eccesive richieste di moneta virtuale, almeno nella versione ufficiale. Pare che però ci sia dell’altro dietro al blackout che ha bloccato le transazioni su Mt. Gox. Da Twitter l’azienda ha specificato di non essere stata vittima di un attacco hacker ma di un’eccessiva richiesta di accessi. Visto che il valore dei Bitcoin è direttamente proporzionale alla loro copertura mediatica, il fatto che la piattaforma di scambio commerciale abbia avuto dei problemi non è di certo una notizia di poco conto. Sarà per questo che nelle ore vicine al blocco del sito, il valore della moneta è sceso a 117 dollari e sembrerebbe tendere ancora al ribasso con gli utenti preoccupati per i loro risparmi virtuali. Se l’occasione fa l’uomo ladro, possiamo dire che l’occasione sul web fa l’uomo hacker. Se non direttamente rivolto al sito che promuove i soldoni, i cyber criminali hanno rivolto il proprio interesse a due siti specializzati nella vendita e gestione di valuta virtuale. Quello che emerge dai recenti attacchi è che i criminali informatici non tendono a rubare il denaro degli utenti, ma a produrne del proprio. I novelli hacker e cracker si impegnano per riciclare denaro, questa volta in versione virtuale. Il mezzo per sviluppare nuova moneta è un malware che riesce a trasformare normali computer in cercatori di Bitcoin in giro per la rete. La minaccia è stata scoperta dai Kaspersky Lab. Il virus viene diffuso tramite un link su Skype che, una volta cliccato, permette l’installazione di un software sul computer della vittima che diviene un inconsapevole minatore e schiavo nella miniera di Bitcoin. Il virus e i suoi creatori si basano su uno dei modi per generare crediti in questo sistema digitale: la condivisione della potenza di calcolo del proprio pc per supportare la rete Bitcoin e creare valore. I ricercatori hanno scoperto computer zombie in Italia, Russia, Polonia, Costa Rica, Spagna, Germania e Ucraina, depotenziati del loro obiettivo principale e tutti votati alla poco nobile pratica di minare i Bitcoin in rete.  Pesa come un macigno l’assenza di una legislazione in materia che faccia da deterrente in questo particolare caso. Se è un crimine violare computer degli altri e formare delle botnet per scopi illegali, ancora non esiste una legge che vieti o sanzioni la riproduzione di Bitcoin e, con i tempi che corrono, pare sia necessario ancora un po’ prima di averne una. Un rapport dell’Fbi dello scorso anno metteva in evidenza come i Bitcoin possano aver inavvertitamente dato vita ad un nuovo modello di business insidioso: pagare per creare botnet con l’intento di produrre Bitcoin, poi rivendere quelle botnet per una certa somma di Bitcoin e ricomprarne di più piccole per produrne altri. Insomma un circolo vizioso che è più facile a farsi che a dirsi e che rappresenta la vera minaccia della nascente economia digitale.

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