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Cina respinge accuse: non siamo hacker

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Niente pirati, siamo cinesi. Da Pechino arriva una secca smentita alle accuse mosse dall’intelligence statunitense verso gli hacker governativi orientali. Uno studio fornirebbe la prova concreta del collegamento tra le istituzioni cinesi e gli attacchi informatici contro organizzazioni e media americani  ma, secondo i rappresentanti della Cina, le attività svolte da centri digitali a Shangai e Pechino sarebbero di routine, mentre le leggi contro i pirati digitali sono state inasprite. L’indagine svolta dalla compagnia Madiant, esperta in sicurezza informatica, ha però tracciato l’origine dei cyber-attacchi più recenti, tra cui quelli ai siti di The New York Times e The Washington Post , risalendo fino a un edificio di dodici piani che ospita un’unità dell’esercito cinese. I numeri raccolti da Madiant dicono di assalti a 141 organizzazioni statunitensi negli ultimi sette anni da parte del medesimo gruppo di hacker cinesi , che avrebbero sottratto centinaia di terabyte dagli archivi di molte compagnia, rubando dati sensibili. Gli Stati Uniti, dal canto loro, stanno preparando una controffensiva incentrata sul Cybersecurity Act, una legge pronta al vaglio che impone a chi gestisce le infrastrutture critiche di condividere le informazioni sulla sicurezza con le aziende clienti e gli agenti federali. La guerra fredda del duemila si combatte, ovviamente, online.

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