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Diaspora americana da Facebook

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Campanello d’allarme per Facebook, che perde visitatori negli Stati Uniti , uno dei mercati più prolifici per il capo dei social network. Sono 6 milioni i profughi scappati nel mese di marzo dal sito in blu, per lo più annoiati dalla routine di like e tag, oppure scocciati dalle norme sempre più lassiste sulla privacy. Il numero non sembra scalfire nel profondo la popolarità della creatura di Mark Zuckerberg, che conta più di un miliardo di iscritti nel mondo, ma rivela alcuni suoi punti deboli: perdere utenti in uno dei paesi cruciali per la crescita economica del social network non è un buon sintomo. A marzo, Facebook ha lasciato per strada il 4% dei suoi visitatori statunitensi. Nel Regno Unito, il calo si è assestato a quota 1,4 milioni (-4,5%). Due indizi fanno quasi una prova. Sembra che anche in Canada, Francia, Germania e Giappone i favori nei confronti del sito vadano scemando. Secondo gli esperti anglosassoni, la perdita di qualche utente è cosa fisiologica : difficile attrarre nuovi iscritti in mercati ormai saturi, mentre è arduo convincere chi utilizza sporadicamente il social network a non spendere più tempo sulla propria bacheca. Facebook fatica a trovare modelli di business alternativi alla pubblicità, che è strettamente correlata al traffico creato dagli utenti: gli esperimenti legati all’e-commerce e quelli correlati ai contenuti non hanno dato sin qui i frutti sperati. L’acquisizione di Instagram ha portato in dote 30 milioni di internauti, più avvezzi però alla condivisione compulsiva che a fare massa online.  Zuckerberg non sembra preoccupato dai segnali di affaticamento : il social network soffre in Occidente ma riscuote grande successo in India (+4% e utenti in crescita di 64 milioni di unità) e Sud America (+7 milioni di iscritti in Brasile). Con la app Home sui cellulari Android, Facebook spera di contaminare massicciamente anche il mondo mobile. La diaspora americana, vista da questa prospettiva, fa meno paura. Ora non resta che convincere gli investitori (e Wall Street) della bontà delle prospettive future. 

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