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Il ping pong dell’informazione

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  Social network, internet, giornali di carta o online. Ma qual è il futuro del giornalismo? Mentre la ricerca di Enrico Finzi, presidente di AstraRicerche, racconta una crescita sempre maggiore degli internauti (da 16,2 milioni nel luglio 2009 a 20,3 nel luglio 2012) si cerca di capire qual è la strada del giornalismo oggi, sempre più connesso e costretto a interfacciarsi con i nuovi media.   Un tema che è stato ampiamente discusso durante il convegno organizzato dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia e che si è tenuto all’Aula Magna dell’Università Statale di Milano. Al tavolo Giulio Anselmi, presidente di Fieg, Mario Giordano direttore di TgCom24, Claudio Giua direttore sviluppo e innovazione Gruppo L’Espresso, Danda Santini direttrice di Elle, Barbara Stefanelli vice direttrice del Corriere della Sera, Eric Sylvers corrispondente da Milano del Financial Times, moderati da Raffaella Calandra, inviata di Radio24. In platea molti giornalisti e studenti che hanno seguito l’incontro con smartphone alla mano: “Spunti dai tweet irrompono nel dibattito. È la normalità, mica l’eccezione”, spiega infatti Giua dal suo profilo Twitter, appunto. Un affermazione che conferma un nuovo modo di comunicare, immediato, facile, comodo e concreto. Caratteristiche che, come raccontato dalla ricerca di Finzi, descrivono il successo di internet come di un mezzo sempre più utilizzato per la ricerca di notizie, surclassando media come la televisione ed entrando nel territorio della carta.   Nonostante i piccoli e grandi problemi che segnano la difficoltà di fare un buon giornalismo, dal convegno si evince che nessun quotidiano può evitare di prendere in considerazione internet. E se c’è chi dice, come Mario Giordano che “la notizia è come il maiale, non si butta via niente”, c’è chi spinge i giornali italiani, come Eric Sylvers “a rischiare di più, come fanno quelli anglosassoni”. Ci si chiede quindi se le notizie sul web vadano messe a pagamento oppure no. Ci si chiede cosa vogliano i lettori ma anche di cosa abbiano bisogno gli editori. Ci si chiede dove vada a finire la buona qualità delle notizie se i giornali devono far fronte a continui tagli ma anche quali siano le preferenze dei fruitori. Che i mondi siano oramai sinergici e complementari emerge anche dalla Twikiconference su “Giornalismo social? Parola a Twitter”, organizzata dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia ed ETicaNews come evento di pre-apertura del convegno, è andata oltre le previsioni. Al tavolo virtuale si sono seduti professionisti tra cui la stessa Calandra di Radio 24 o il direttore sviluppo e innovazione  de L’Espresso Claudio Giua e Eric Sylvers del Financial Times non hanno lesinato entusiasmo e capacità di confronto: sono state molteplici le conversazioni con i partecipanti, anche quando piuttosto scomode.   Complessivamente, secondo i dati di Tweet Archivist sull’hashtag #TwikiOdg, nella giornata ci sono stati 636 tweet. È possibile osservare l’andamento dei volumi, la scomposizione per fonte e addirittura la classifica di chi ha twittato di più: l’impennata dei tweet è stata nell’ora programmata, ma anche nelle due ore successive. Lo spunto significativo è un tweet un po’ provocatorio, ma centrato: “Buone Notizie: l’Ordine e i giornalisti scoprono che esiste Twitter”. È una sintesi? È una presa d’atto in seguito a diverse centinaia di tweet? La risposta si trova ripercorrendo il flusso. Si trova il confronto tra le ansie di ieri e quelle di oggi: “Sindrome buco sul web è una follia. È il vecchio schema che vince. Qualità, visione e comunità fanno la differenza”. Significa ritornare all’indagine, e su quella battere la concorrenza, non necessariamente sul tempo: “Twitter è come i corridoi del Palazzo di Giustizia. I cinguettii sono tutti da verificare, sempre. Stesse regole”. Emerge la consapevolezza di ciò che si sta vivendo: “La virata verso questi mezzi è partita spesso dalle redazioni, più che dagli editori”. Con evoluzioni socio-politiche non secondarie: “Nessun medium è mai stato così democratico, ben venga l’affiancamento tra tradizione e innovazione”. E ancora: “Per resistere, il giornalismo “tradizionale” deve sperimentare nuove forme: sotto con i tweet!”.    

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