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Il tempo cambia il giornalismo?

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Il 17 marzo il Los Angeles Times è stato il primo quotidiano a produrre una notizia scritta interamente da un robo t. Si trattava della notizia del terremoto di magnitudo 4,7 che ha colpito la città californiana quello stesso giorno: l’articolo è stato generato automaticamente da un software. Il giornalista e programmatore Ken Schwencke ha creato un algoritmo che genera automaticamente brevi articoli nel caso di terremoti. Ci sono voluti circa tre minuti per produrre l’articolo a partire da un avviso automatico ricevuto dall’agenzia statunitense che rileva i terremoti, la U.S. geological survey. Schwencke ha ideato un software che inserisce in un’impaginazione preimpostata i dati ricevuti da fonti affidabili e selezionate. Oltre che per i terremoti questo servizio è usato anche per generare articoli automatici di cronaca nera e cronaca locale. In questo caso però ci sono degli editor umani che controllano e che decidono cosa pubblicare. Questo tipo di tecnica è stata introdotta da altri giornali per seguire le notizie di sport. Secondo l’inventore del software Ken Schwencke, intervistato da Slate, “le macchine non sostituiscono il lavoro dei giornalisti, questo è solo un modo per far risparmiare tempo ai giornalisti e concentrare le forze su cose più impegnative!”. L’evento merita una riflessione.  Margaret Sullivan è la public editor del  New York Times . E’ colei che ha il compito di sorvegliare che la testata segua principi giornalistici condivisi, come la veridicità di ciò che viene scritto, l’originalità degli articoli, l’obiettività nell’esposizione dei fatti, la neutralità e l’assenza di conflitti di interesse, eccetera. Ha poi il compito di indicare in articoli rivolti ai lettori violazioni e omissioni rispetto a questi principi. Nello specifico, la Sullivan per il quotidiano della Grande mela si occupa spesso di questioni legate alle novità nell’informazione e nel giornalismo: recentemente ha pubblicato un articolo di riflessioni più ampie complessive su cosa sta cambiando nel mestiere dei giornalisti e nel ruolo dei media e di tutti gli enti che fanno informazione. Le sue riflessioni nascono soprattutto dalle impressioni raccolte nelle lezioni tenute ai giovani aspiranti giornalisti e alle domande che si sente fare.   Molti giovani che “vogliono fare i giornalisti ” sembrano avere ambizioni che derivano da idee della professione spesso anacronistiche: una scrivania nella sede di un grande quotidiano, una rubrica di proprie opinioni su tutto, un mandato a girare il mondo per fare grandi reportage di viaggio, un blog sul calcio, o sul cinema. Quella roba lì non esiste più, gli spazi per quelle cose sono diventati ridottissimi e insoddisfacenti, che l’offerta di semplice scrittura o voglia di raccontare è ridondante, il giornalismo è diventato un’altra cosa, molte altre cose. Queste molte altre cose possono essere più divertenti e stimolanti ed efficaci dei modelli tradizionali visti nei film americani o immaginati sfogliando grandi quotidiani in crisi di lettori e di senso e che non assumono più nessuno. Come dice Marc Fisher, ex redattore capo del Washington Post e ora direttore della Columbia Journalism Review, settimanale americano che sta investendo molto sul cambiamento e sul trasformare se stesso: “ Quando un candidato nei colloqui mi dice che la sua passione è scrivere storie gli rispondo che non è un lavoro che offriamo. Cerchiamo di stare alla larga da termini riduttivi come ‘reporter’ o ‘redattore’”. Dice Margaret Sullivan introducendo il suo articolo : “ I giovani aspiranti giornalisti sono spacciati e stanno entrando in una professione che precipita e non è in grado di offrir loro di che vivere? O sono fortunati di trovarsi in un mondo che ribolle di nuove opportunità?” . Non bisogna mai dimenticare nessuna delle due: la prima quando ci si aspettano garanzie professionali e salariali risalenti a tempi felici da parte di un business in cui i ricavi si stanno invece disintegrando. Ci sono due cose da descrivere, scrive Sullivan: lo stato di incertezza del giornalismo contemporaneo, e la certezza che alcuni valori dureranno. “Prima, l’incertezza: poiché siamo in mezzo a un cambiamento così radicale, non possiamo vedere chiaramente cosa sta succedendo. Quello che sappiamo è che il vecchio modello, quello in cui il giornalismo è sostenuto dalla pubblicità su carta, non funziona più. Nessuno può dire quale sarà lo scenario futuro, nemmeno quello tra cinque anni. Ma alcune tendenze stanno emergendo. Alcuni esempi: in certi casi i paywall stanno ottenendo qualche successo. Come al New York Times, dove i ricavi sugli abbonati hanno superato quelli sulla pubblicità, una novità epocale. Un altro sviluppo è che ricchi imprenditori stanno facendosi avanti per sostenere delle imprese giornalistiche, tra cui Jeff Bezos col Washington Post e Pierre Omidyar con First Look Media. Allo stesso tempo, siti specializzati come Chalkbeat sulla scuola o Inside Climate News sull’ambiente si stanno facendo notare. Il data journalism sta crescendo molto. E le imprese giornalistiche umili e che contengono i propri costi si danno un grande vantaggio; quelle che non sono umili, e non riescono a contenerli, si mettono una robusta corda al collo”. Poi ci sono le certezze, invece, prosegue Sullivan. Che spiega di avere raccontato ai suoi studenti che alcuni valori giornalistici restano duraturi e sono oggi più importanti che mai per i lettori “in cerca di un porto sicuro in mezzo alle tempeste informative di oggi” . La domanda prevalente è per il sensazionalismo, l’allarmismo, il voyeurismo e i video di gattini. Ma è vero che ci sono anche richieste di attributi giornalistici più nobili ed eterni. “Primo, l’integrità. I veri giornalisti non sono in vendita, né in cambio di informazioni, né di pranzi gratis, né della prospettiva di un contratto per un libro. Il giornalismo migliore riguarda la ricerca della verità e il racconto della verità: il suo scopo è informare i lettori. Integrità vuol dire anche non usare il lavoro altrui senza citarne gli autori. Se volete firmare quel che scrivete, non usate scorciatoie: fate voi il lavoro, oppure citate le fonti. Un’altra cosa di cui sono sicura: che il giornalismo non deve essere accondiscendente con i potenti. I giornalisti devono essere di guardia, al potere: e questo vuol dire non aver paura di avversarlo quando ce n’è bisogno: scovare la verità quando qualcuno non vuole, dirla chiaramente e accettarne le conseguenze. Un’altra certezza è la necessità di fare le cose bene. Il giornalismo ha bisogno del massimo impegno possibile sull’accuratezza e sulla sua cugina stretta, la correttezza.  Certo, siamo tutti in una gara mondiale per dare le notizie subito. Ma la verità accertata è più importante che mai, e a volte è meglio rallentare ”. “Gli abbonamenti funzionano solo per le piattaforme che offrono valore aggiunto rispetto ai contenuti già disponibili gratuitamente”, dice Jessica Lessin, che ha da poco fondato la testata online The Information . Lanciata quattro mesi fa, riporta le ultime news e analisi sul settore tecnologico. Pubblica una o due storie al giorno dietro un paywall che costa ai lettori 39 dollari al mese o 399 dollari all’anno. “ Quello che notiamo è che quando scriviamo grandi storie otteniamo numerosi abbonati” , ha detto. “ Ma quando scriviamo storie meno grandi otteniamo meno abbonati. Ad ogni modo l’abbonamento è un modello in crescita ”. L’abbonamento a The Information è più costoso di quello del Wall Street Journal, dove Lessin ha lavorato come giornalista esperta di tecnologia. Tuttavia “ il prezzo è giustificato dal valore dei contenuti di nicchia previsto sulla nuova piattaforma. Il costo vuole richiamare l’attenzione dei professionisti che cercano valore ”. Lessin sottolinea che soprattutto con le testate in abbonamento è davvero importante conoscere il pubblico. “Questa è una lezione che sentiamo spesso, ma credo che gli editori più grandi l’abbiano persa di vista ”, dice. “ Dobbiamo chiederci per chi stiamo scrivendo. Se stiamo raccontando una storia su Apple, la scriviamo per l’inserzionista o per il consumatore?” . Secondo Lessin, nel mercato competitivo di oggi il modello di business dipende prima di tutto dai contenuti. La premessa fondante di The Information, infatti, era quella di essere uno strumento “indispensabile” per i professionisti del settore offrendo punti di vista originali e approfondimenti. Un’altra cosa fondamentale per chi vuole lanciare un prodotto in abbonamento – aggiunge Lessin – è quello di “ costruire un prodotto che la gente vuole”.  “Non è sufficiente dire ‘Mi piace scrivere, ho un blog e uso Google Adwords’. E’ un approccio sbagliato. Bisogna chiedersi sempre se la nostra idea esiste già e perchè la gente dovrebbe pagare per il nostro prodotto ”. La qualità può arrivare anche da un robot?

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