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La rete vuole Quintarelli, Agcom che fa?

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Tutto il web italiano vuole Stefano Quintarelli alla guida di Agcom. L’Autorità per le comunicazioni si appresta a rinnovare i propri consiglieri e il proprio presidente. Ruoli istituzionali di primaria importanza, visto che Agcom controlla lo sviluppo delle strutture di tlc in Italia.    Dopo anni di crescita lenta e di immobilismo, la comunità internet italiana vorrebbe personaggi esperti della materia e capaci di decisioni immediate, per il bene della rete comune. Ecco dunque che il nome di Quintarelli, quarantesettenne informatico veronese tra i pionieri del web commerciale italiano, è salito in cima alla lista delle preferenze degli addetti ai lavori e degli appassionati della materia. La campagna online ‘Quintarelli 4 presidet’ ha superato le 11mila adesioni, mentre il cv dell’interessato è stato approvato dal ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera.   “Ho un certo feeling in questo settore, che conosco e pratico dal 1985 – dice Quintarelli spiegando la sua candidatura a La Repubblica -. Nella mia vita professionale ritengo di aver dimostrato una certa dose di indipendenza. Per questo credo di poter avere un approccio bilanciato. E di possedere quel minimo di visione per dare le indicazioni opportune alla politica” . Il rapporto con il Parlamento , che elegge membri del consiglio e il presidente di Agcom, è fondamentale. Proprio l’assenza di esperienza istituzionale sembra giocare a sfavore di Quintarelli, che però ha idee abbastanza precise sulle cose da fare: “Intanto bisogna dire che l’Agcom non fa politica industriale, agisce sulle leggi fatte dal parlamento. Poi ci sono delle direttive che arrivano dal’Europa, per cui i margini di discrezionalità non sono poi tanti. La cosa più urgente – spiega – è cambiare le regole interne all’Agcom per dare la possibilità ai commissari di dissentire e di mettere questo dissenso a verbale”   La riforma delle infrastrutture di telecomunicazione, secondo Quintarelli, passa da una riforma dell’Autorità competente , da una ristrutturazione di responsabilità e poteri. Una ricetta forse troppo innovativa per la lenta politica nostrana. Che resta a banda ristretta.  

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