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L’animazione italiana senza sottoquota

animazione italiana - vintage - ArtsyBee

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I produttori di cartoon italiani avevano chiesto un contributo obbligatorio a loro favore, ma il Consiglio dei Ministri ha deciso in senso contrario. L’intervista di Telepress a Donatella Leone di Cartoon Italia.

Premessa. Il TUSMAV prevede per le televisioni che operano in Italia una serie di obblighi di investimento in produzione indipendente europea. La quota obbligatoria varia fra le diverse tv e piattaforme. Alcune quote specifiche sono previste per le opere italiane e così il mondo dell’animazione italiana aveva chiesto per sé una sottoquota di programmazione e di investimento da parte di televisioni private e piattaforme on demand operanti in Italia. L’operazione – si badi bene – non avrebbe comportato alcun esborso ulteriore, perché un supporto alle produzioni indipendenti era già previsto.

La proposta era arrivata al Consiglio dei Ministri con il parere favorevole della Camera (il Senato non si era espresso) e del Ministero della Cultura, con il ministro Sangiuliano e la sottosegretaria Lucia Borgonzoni. Il Governo, però, ha detto no a questa revisione del Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi e così l’obbligo di una piccola percentuale di investimenti in cartoni animati italiani continua oggi a vigere, come prima, solo per la Rai.

Ovviamente, il diniego ha fatto molto arrabbiare il mondo dell’animazione, che ha tempi più lunghi di produzione, più difficoltà a reperire investimenti, perché i ritorni sono più lunghi, ma sono anche le opere più facilmente esportabili. “Così si fa un favore alle piattaforme“, dichiara a Telepress Donatella Leone, vicepresidente di Cartoon Italia, associazione delle Aziende Italiane di Animazione che promuove le produzioni di cartoni italiani sia in Italia che all’estero: “Viste le resistenze delle televisioni private, Cartoon Italia aveva infatti già formulato una proposta che esentava le emittenti generaliste dall’obbligo della sottoquota“.

Come si spiegano questa decisione? “Il mondo dell’animazione non ha il glamour che ha il cinema con gli attori più famosi, che al massimo qualche volta sono doppiatori. Inoltre, non è legato al territorio a livello di immagini, ma le stesse Film Commission hanno riconosciuto il valore delle nostre produzioni e hanno aperto anche ai cartoni italiani i loro bandi. Tranne la Toscana. Infine, ha tempi più lunghi e ritorni meno immediati. Eppure, casi recentissimi come il fenomeno di Zero Calcare dimostrano che le opportunità far bene, anzi benissimo, ci sono tutte“.

Sono negativamente sorpreso per la decisione che è stata assunta e che non riconosce minimamente quelle che sono state le nostre richieste“, ha dichiarato Iginio Straffi, il papà delle Winx e Ceo RAINBOW: “Non si tratta solo di una battaglia combattuta per un riconoscimento economico, che comunque sarebbe necessario per competere ad armi pari con le produzioni straniere, ma soprattutto di avere a cuore i valori fondanti di un’educazione che attraverso l’animazione si trasmette ai più piccoli e in qualche modo a un vero e proprio patrimonio culturale italiano”.

Made in Italy e Merito a parole, insomma, nei nomi dei ministeri ma non nel concreto supporto a un comparto che, spiega ala presidente di Cartoon Italia, Maria Carolina Terzi, “consta di oltre 50 aziende, dà lavoro a migliaia di persone compresi 6.000 giovani con un’età media tra i 20 e i 30 anni e crea contenuti per bambini veicolando i valori che appartengono alla nostra tradizione culturale. Dal governo una miopia che impedisce la crescita naturale e necessaria per un comparto industriale e creativo, eccellenza del Made in Italy”.

Soffocare il comparto dell’animazione italiana significa privare le nuove generazioni di bambini e ragazzi dell’immaginario italiano, con un’offerta quasi esclusivamente americana. Con questa scelta del governo la RAI resta, suo malgrado, l’unico player e partner finanziario dell’intera industria dell’animazione italiana, con una conseguente limitazione dell’offerta di contenuti. Senza la sottoquota, al comparto manca la competitività in un mercato internazionale sempre più difficile e schiacciato dall’America, da una parte, e dall’Asia dall’altra.

di Daniela Faggion

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