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Le mura di Bergamo non fermarono il Covid

Le mura di Bergamo

Le mura di Bergamo

Il documentario di Stefano Savona ricostruisce il dramma psicologico dell’emergenza vissuta nel 2020 nella città lombarda e il singolare percorso di supporto costruito da un gruppo di cittadini.

Dopo l’anteprima mondiale al 73mo Festival Internazionale del Cinema di Berlino, il film documentario Le mura di Bergamo di Stefano Savona arriva anche al pubblico italiano, con un primo passaggio obbligato al Bergamo Film Meeting domenica 12 marzo, in vista della Giornata nazionale per le vittime del COVID-19 sei giorni dopo (18 marzo).

Quaranta giorni, 6000 morti

La pellicola ha raccolto le testimonianze, anche in presa diretta, di chi è stato in prima linea nei giorni più cupi della pandemia a Bergamo e provincia: qui, fra il 20 febbraio e il 31 marzo del 2020 si stima siano morte circa 6000 persone a causa del virus che ha sconvolto il mondo contemporaneo. Nella pellicola si intersecano immagini della città, sospiri affannati, maschere a ossigeno, sirene spiegate, gli ormai tristemente famosi camion dell’esercito, manovre disperate nel tentativo di salvare anche i casi più disperati, nella drammatica consapevolezza che non tutti ce la faranno: il servizio sanitario è allo stremo, i volontari sono una prima linea che viaggia soprattutto sul buon senso e la buona volontà, i medici di famiglia che scelgono di non abbandonare i pazienti sono spesso le prime vittime. A fare da interpunzione allo sconvolgimento datato 2020 ci sono immagini storiche, prese dall’archivio dei filmati di famiglia, quasi a raccontare simbolicamente la semplice felicità di vite che furono e la gioventù spensierata di quegli anziani che in molti casi sono morti in casa, vegliati dai loro cari impotenti.

I cittadini e la città

E poi ci sono i vivi: quelli che hanno curato e quelli che si sono salvati anche grazie all’amore di quelle cure; quelli che hanno cercato aiuto e quelli che lo hanno dato volontariamente, senza chiedere nulla in cambio; quelli che hanno accompagnato centinaia di bare chiuse senza che i parenti potessero vedere i loro cari mancati. Singolare e preziosa è la testimonianza della titolare di un’agenzia funebre, che si trova a un certo punto soffocata dalla velocità con cui si trova a organizzare funerali, senza che ci sia il tempo di elaborare il lutto attraverso i rituali che solitamente lo accompagnano. Anche lei fa parte di un gruppo di cittadini che prova a giocare un ruolo nella guarigione collettiva della città, non solo dal virus quanto dalle cicatrici che ha lasciato nel cuore di chi è rimasto. Protagonista di questa storia è dunque la città intera: un corpo sociale che, come ogni organismo vivente, è costituito innanzitutto dalle infinite connessioni tra le sue parti.

di Daniela Faggion

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