Site icon Telepress

L’Italia dei piccoli paesi e il prezzo nascosto delle disuguaglianze

italy-raiKom

italy-raiKom

Il progetto interdisciplinare GESI mostra come vivere lontano da scuole, ospedali e trasporti apra una nuova frattura nella società italiana

L’Italia è spesso raccontata romanticamente come il Paese dei piccoli paesi e dei borghi. Dietro l’immagine da cartolina, però, si nasconde una realtà più dura: non tutti i piccoli comuni sono uguali. Ci sono territori che pagano più di altri la distanza dai servizi essenziali – scuole, ospedali, trasporti. Le cosiddette aree interne comprendono oltre 4.000 comuni, quasi la metà del totale, dove vive un quarto della popolazione. Qui invecchiamento, spopolamento e migrazioni rendono i divari ancora più profondi rispetto al resto del Paese.

È su questi territori che si concentra GESI (Geography and Social Inequality in Italy), progetto nazionale coordinato dall’Università di Milano sotto la guida del professor Nazareno Panichella, che mostra come vivere lontano dai servizi essenziali influisca sulle opportunità educative, occupazionali e sulla mobilità sociale, creando una nuova linea di frattura nella società italiana.

I recenti cambiamenti tecnologici ed economici hanno aperto nuove differenze geografiche, visibili ovunque ma particolarmente rilevanti in Italia, un Paese già segnato da forti divari interni. Oggi le disuguaglianze non dipendono solo da classe sociale, genere o istruzione, ma anche – e in modo decisivo – dal luogo di nascita. E quando i più qualificati emigrano dalle aree svantaggiate, lasciano dietro di sé territori sempre più deboli.

Le aree marginali italiane, in particolare nel Mezzogiorno, sono attraversate da un processo di spopolamento che negli ultimi decenni si è fatto sempre più intenso. E gli spostamenti sono un fenomeno selettivo, perché a spostarsi non sono i meno istruiti, ma al contrario i giovani più qualificati, quelli con titoli di studio elevati e ambizioni professionali che i territori d’origine non riescono ad assorbire. Chi ha competenze specialistiche, infatti, trova spesso impossibile valorizzarle nelle aree interne, dove il mercato del lavoro offre poche occasioni in settori avanzati.

La scuola gioca un ruolo cruciale in questo processo ed è emblematico il caso delle aree interne del Sud. Qui i dati non mostrano tassi elevati di abbandono: al contrario, l’iscrizione ai licei è frequente e l’offerta educativa sembra funzionare come fattore protettivo. Proprio questo successo produce fa sì che i percorsi liceali spingano verso l’università e, con essa, verso la migrazione. Per chi consegue titoli accademici, tornare in contesti privi di opportunità qualificate diventa quasi impossibile.

Così, l’espansione scolastica, che altrove contribuisce a ridurre le disuguaglianze, nelle aree marginali del Mezzogiorno finisce per alimentare lo spopolamento. L’istruzione si trasforma in un trampolino di lancio non per la mobilità sociale sul territorio di origine, ma per l’uscita definitiva da esso. La migrazione selettiva dalle aree marginali ha provocato un forte depauperamento di capitale umano, con effetti economici, sociali e culturali di lungo periodo, soprattutto nel Mezzogiorno interno.

La migrazione studentesca non è solo uno spostamento temporaneo per motivi di studio, ma parte di progetti di vita più ampi, che comprendono l’ingresso nel mercato del lavoro e l’insediamento stabile al Nord. Per questo motivo, la creazione di sedi universitarie nel Sud – pur importante – non basta a fermare la fuga dei talenti, se non è accompagnata da reali prospettive di lavoro e stabilità.

I problemi tipici delle aree interne – distanza dai servizi, isolamento, spopolamento – si concentrano soprattutto nelle regioni meridionali, ma non è solo una questione di quantità: anche la natura della penalizzazione cambia. La prima differenza riguarda la mobilità quotidiana. Al Nord, vivere in un’area interna non significa isolamento totale: città e poli economici restano raggiungibili con spostamenti giornalieri o settimanali, e in alcuni casi è persino possibile lavorare come transfrontalieri, ad esempio in Svizzera. Nel Sud, invece, le distanze e la carenza di infrastrutture rendono quasi impossibile il pendolarismo: chi vuole cogliere nuove opportunità deve trasferirsi stabilmente, non può semplicemente spostarsi.

Nel Mezzogiorno le fragilità della marginalità geografica si sommano a quelle storiche del dualismo Nord-Sud, creando una vera e propria doppia penalizzazione: nascere in un’area interna del Sud significa affrontare difficoltà più pesanti che altrove. La questione delle aree interne, infatti, non può essere compresa senza guardare alla più ampia questione meridionale.

Exit mobile version