di Giorgio Bellocci Le iene, Pulp Fiction, La leggenda del pianista sull’oceano … Basterebbero queste credenziali, film d’autore interpretati come protagonista, per rendere la portata del talento di Tim Roth, “atterrato” su Rete 4 con il telefilm Lie To Me . L’accoglienza dei telespettatori, secondo i dati auditel, è stata tiepida: i primi episodi della serie hanno registrato un pallido 6% di share nel prime time del martedì (poco più di un milione e mezzo di utenti). Un vero peccato se si pensa al carisma dell’at- tore inglese, capace di mischiare una preparazione teatrale tutta british alle nozioni da Actor’s Studio. In Lie To Me Roth interpreta Cal Lightman, studioso della comunicazione non verbale: infallibile nel capire quando una persona non dice la verità. Cal opera a Washington con un suo team e grazie al “dono” di cui è in possesso viene coinvolto dalle autorità investigative. Il suo fascino viene dal carattere complesso, soggetto a scatti d’ira, frutto di una infanzia travagliata nella natia Londra. Questo è il pregio del telefilm: puntare su un “non eroe” che continua a oscillare tra aspetti piacevoli della vita (il bel rapporto con la figlia e con la ex moglie, interpretata da una sempre avvenente Jennifer “Flashdance” Beals) e pericolose cadute in abissi psicologici e reali. Le “brutture” con le quali Cal si trova a doversi confrontare non sono solo di natura criminale. Il “dono” può infatti servire anche ad aiutare un ragazzo sequestrato nei primi anni di vita a ritrovare i suoi genitori, così come un reduce di guerra alle prese con incubi e visioni.
Ma quello è Tim Roth! Su Retequattro…

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