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Piccoli inventori crescono, in rete

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Nick D’Aloisio ha 17 anni. Ed è milionario. Ha appena venduto la sua app a Yahoo!. Per trenta milioni di dollari più un posto di lavoro. Qualcuno ha notato che quando Jerry Jang e David Filo fondarono Yahoo!, il 1 marzo 1995, Nick non c’era ancora visto che è nato nel 1996, a Londra, dove è tornato per frequentare il King’s College dopo un periodo in Australia. Nella sua biografia, ovviamente su Wikipedia, si dice che ha ricevuto il primo personal computer a nove anni, e che nella sua cameretta a 15 anni ha sviluppato Trimit, un’app che faceva automaticamente il riassunto di testi lunghi per visualizzarli sul telefonino. La cosa ebbe subito un certo successo, e Nick riuscì a farsi dare 300mila dollari da un investitore. Sei mesi dopo la app era tutta nuova, anche nel nome: Summly, quella che Yahoo! ha appena comprato. Guidata dalla ex dirigente di Google Marissa Meyer, Summly è stata rimossa dallo store di Apple con questo bilancio: 90 milioni di riassunti creati e letti in pochissimi mesi. Il mondo digitale non è nuovo a exploit simili, ma quello che stupisce in questa storia, il motivo per il quale era nella homepage di Cnn e New York Times , è l’età di Nick D’Aloisio. Prima di lui c’erano stati Robert Nay, che a 14 anni ha creato Bubble Ball, un gioco scaricato due milioni di volte in appena due settimane nel 2010; Thomas Suarez che a 12 anni ha creato Bustin Jieber, un gioco per sfottere i fan del cantante Justin Bieber, nel 2011; e Dylan Viale, che a 10 anni ha creato Quacky Quest, un videogame per giocare con la nonna cieca, nel 2012. Dietro questi fenomeni non c’è la fortuna: c’è la capacità di programmare che non vuol dire fare programmi, ma scrivere codici, il linguaggio in cui è fatto il web. Qualche giorno fa l’associazione Code.org ha lanciato una campagna mondiale per chiedere ai governi di introdurre per tutti a scuola l’obbligo di studiare le basi della programmazione (come già accade in Estonia da settembre). I testimonial, nel video “quello che gran parte delle scuole non insegnano”, subito diventato virale, sono il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg e quello di Microsoft Bill Gates. E il messaggio subliminale è che se sai programmare forse puoi davvero diventare come loro: ricco e famoso. “Imparare a programmare non vuol dire che poi diventerai un informatico”, spiega Zuckerberg che sostiene di aver imparato da solo per un motivo semplicissimo: “Volevo fare qualcosa di divertente per me”. E Bill Gates racconta: “Avevo 13 anni quando per la prima volta ho avuto un computer. E ho scritto un programma perché volevo fare un videogioco”. Poi ha fondato Microsoft. Ma più interessante è quello che dice lo sviluppatore di videogiochi Gabe Newell: “I programmatori di domani saranno i maghi del futuro. Rispetto a tutti gli altri, sembrerà che loro siano dotati di poteri magici”.  Lo scorso weekend alla terza università di Roma tremila ragazzi hanno affollato gli eventi di Codemotion un festival il cui slogan era più o meno: scriviamo righe di codice per cambiare il mondo. E anche se poi alcuni si limitano a fare giochini con poco appeal il concetto non cambia: magari un giorno faranno una cosa seria come è accaduto qualche mese fa a Jack Andraka. A 15 anni ha vinto una competizione mondiale con uno sticker che consente di individuare il tumore al pancreas con molta più efficacia e con molti meno costi di tutti gli altri strumenti in circolazione. Perché lo ha fatto? Perché lo zio è morto di tumore al pancreas e allora ha scoperto che è una delle forme di cancro più letali. Ha bussato alla porta di 179 docenti in cerca di aiuto, e il 180esimo gli ha detto: è una buona idea, proviamoci. Molti si chiedono dove finiscono i giovani geni. Se poi magari impazziscono o si buttano ai Caraibi a spendersi i soldi guadagnati quando erano troppo giovani. E’ presto per dirlo, ma i primi segnali indicano che non è così che vanno a finire queste storie. Robert Nay nel frattempo ha aperto una società, la NayGames, e lo stesso ha fatto Thomas Suarez, fondando la CarrotCorp. 

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