Site icon Telepress

Pozzo nero Siae

Abstract futuristic world & technology business background and space for text, vector illustration

Una grande famiglia dagli stipendi d’oro e dai bonus surreali. e le vertenze sindacali sono numerose e ancora aperte.   Bufera Siae. Sono anni che l’ente pubblico per la gestione dei diritti d’autore vive una situazione di grave e irreversibile crisi. Anni che si parla di un risanamento totale della società e di un cambiamento radicale nel controllo di diritti e proventi legati alle opere d’ingegno. Niente si muove o si muove poco e male. Eppure le cose sembravano cambiare grazie al decreto Salva Italia dello scorso dicembre, dove si liberalizzava, con l’ingresso di nuovi intermediari, il pagamento dei diritti legati alla diffusione della musica registrata. La Società italiana autori ed editori vive da tempo una situazione di grave crisi, con buchi irreversibili di bilancio e una gestione di fondi, soldi e dipendenti parecchio discutibile. Da tempo si parla della creazione di un’autorità nazionale che si occupi delle funzioni pubbliche in materia di diritto d’autore, affidando a enti privati e in regime di concorrenza l’intermediazione e la gestione privata dei fondi. La liberalizzazione natalizia non ha portato ai risultati sperati, creando una situazione di caos estremamente ingarbugliata. Sembra infatti che il Governo non abbia chiarito in che modo debbano comportarsi i nuovi intermediari entrati nel mondo del diritto d’autore. Ora che ognuno può intermediare i diritti connessi e che quindi esistono numerosi soggetti che possono riscuotere tale diritto, non si sa più a chi debbano essere pagati questi diritti, né come ripartirli. Così la Siae ha deciso di bloccare i pagamenti legati all’equo compenso sulla copia privata, l’odiata percentuale che paghiamo all’acquisto di supporti e dispositivi che possano permettere la copia privata di un prodotto coperto da diritto d’autore. Secondo la società, allo Stato non sarebbe possibile individuare il soggetto privato che si occupa della riscossione della percentuale sulla copia privata e quindi, finché non verrà ricoperto questo buco legislativo, i diritti non verranno versati a nessuno. Una grave mancanza del Governo che è partito a spron battuto nella liberalizzazione, senza però preoccuparsi della conseguenze che sarebbero scaturite per la poca chiarezza della situazione. La paralisi multimilionaria del mercato è dietro l’angolo. Tutto questo va a fare da contraltare a una società per molti versi ormai inutile, ennesimo esempio all’italiana di cattiva gestione di fondi. Sergio Rizzo sul Corriere della Sera denuncia infatti una situazione al limite del paradossale, gravemente sottovalutata nel corso degli anni. Su 1257 assunti, ben 527 vantano legami di parentela, famiglia e conoscenza. Figli, nipoti, mariti e mogli di dipendenti ed ex dipendenti. Non solo, stipendi stellari e benefici sterminati che vanno ad aggravare la voragine di un bilancio ormai compromesso, con perdite che nel 2010 si aggiravano intorno ai 30 milioni di euro. Stipendi da 64mila euro di media per i dipendenti e 158mila per i dirigenti, con scatti di anzianità biennali tra il 7 e l’8%. Ma anche benefici sterminati e assurdi: premio di operosità, gratifica per l’Epifania, 36 giorni di ferie, 3 giorni di malattia senza obbligo di certificato e addirittura indennità per il bucato e premio per il passaggio dalla carta al digitale. Una situazione grave, a cui va trovata una vera e reale soluzione. In tutti i paesi del mondo il diritto d’autore è gestito da società private, in un regime di concorrenza che ha liberalizzato e reso più competitivo il mercato. La tutela delle opere e degli autori va comunque garantita e rimarrà per sempre un bene pubblico e tutelato dallo Stato. Ma in una situazione come questa non si capisce perché si continui ad andare avanti con una società allo sbando, vittima di se stessa e dei suoi privilegi, in regime di monopolio e con la doppia funzione pubblica e privata. Misteri italiani. Un’azienda grande, che lava i panni in famiglia. Nel senso più letterale del termine. Alla Siae, sono talmente legati che anche il bucato lo paga la ditta. Privilegio da dipendenti, anzi, da parenti. La speciale ‘indennità lavanderia’ quotidiana che scatta in busta paga dopo il quarto giorno passato fuori sede, vale oltre 10 euro. Il livello di fiducia è talmente alto, che nulla è messo per iscritto, nemmeno un contratto di lavoro vero e proprio: i rapporti fra l’azienda e i dipendenti, come hanno sottolineato il commissario Gian Luigi Rondi, i suoi due vice Mario Stella Richter e Domenico Luca Scordino, sono regolati da micro accordi, che vantano condizioni senza alcun paragone nelle realtà aziendali italiane. Finora tutti tentativi di normalizzare la situazione applicando un qualsiasi contratto di lavoro, sono miseramente falliti, trascinati dallo stato d’agitazione proclamato dai sindacati interni. La questione fa il paio con la vicenda del Fondo pensioni, istituito nel 1951, che deve provvedere al pagamento degli assegni di quiescenza del personale ed è una delle cause principali del dissesto che hanno portato un anno fa al commissariamento. Il patrimonio, interamente investito in immobili, con un valore di mercato di 205 milioni, non rende quasi  nulla. Per riuscire a pagare le pensioni, poi la Siae ha dovuto mettere regolarmente mano al portafoglio, aggravando pesantemente il proprio conto economico. Nel tentativo di rimetterlo in sesto, sono stati istituiti due Fondi immobiliari. Il che ha scombinato i piani di vendita di alcuni stabili di proprietà della Siae a condizioni favorevolissime: minimo anticipo e dilazioni di pagamento quarantennali.                                                                                                               • Giovanna Maggiori

Exit mobile version