Site icon Telepress

Pubblicità in tv: un grande passato alle spalle

Abstract futuristic world & technology business background and space for text, vector illustration

LA TV Dà I NUMERI di Giorgio Bellocci Il Corriere della sera ha recentemente pubblicato un interessante focus dedicato ai risultati della legge con la quale, dallo scorso 5 gennaio, il governo francese ha tolto pubblicità alla televisione pubblica nella fascia tra le otto di sera e le sei del mattino. In sintesi il focus riportava che era fallito l’obiettivo primario di trasferire alle emittenti private 480 milioni di euro: gli investimenti sono stati addirittura ridimensionati. E non è tutto, perché l’audience delle reti pubbliche anziché salire, come segno di gradimento per l’eliminazione degli spot serali, ha fatto registrare un calo. L’articolo si soffermava poi su valutazioni di natura socio-economica anche attraverso interviste a addetti ai lavori d’oltralpe, mentre un commento separato di Aldo Grasso proiettava dati e commenti in un ipotetico scenario nostrano. Particolarmente stimolante il box del critico televisivo, con il quale dissento solo su un punto nello specifico: ho trovato un po’ azzardata l’obiezione secondo la quale “non considerare gli spot come risorsa linguistica è un abbaglio davvero imperdonabile” Non sarò io a contestare a un esperto come Grasso l’importanza della pubblicità per quanto concerne la storia del costume e della televisione italiana, nonché del linguaggio audiovisivo. Ma, appunto, parliamo della magnifica era pionieristica del Carosello in bianco e nero! La creatività dell’advertising sul piccolo schermo si è esaurita negli anni 70, grazie anche all’esagerata invadenza del “testimonial” Recitava lo slogan: “Sempre più in alto Grappa Bocchino sigillo nero”… A posteriori non ci sono altri aggettivi per descrivere il mood del celebre spot con Mike Bongiorno se non ridicolo. E l’elenco sarebbe infinito, in un percorso che idealmente passa per la Milano “da bere” e il Michele invasato per il Glen Grant, fino ai quesiti intestinali di Alessia Marcuzzi e agli insopportabili tormentoni dei vip (si fa per dire) alle prese con i telefonini. Dove risiede la creatività in tutto questo? Di quale risorsa linguistica dobbiamo parlare? Oggi lo spettatore si limita a subire la pubblicità, e ne è talmente dipendente che non riesce a liberarsene, come dimostra l’esempio francese. Con sgomento assisto all’ennesima trovata pubblicitaria di Intesa Sanpaolo, già reduce dai nefasti tentativi di umanizzare la realtà bancaria con le battute della Gialappa’s. ll colosso ha varato il cosiddetto progetto “per Fiducia” chiamando tre grandi autori di cinema (Olmi, Salvatores, Sorrentino). Dal punto di vista tecnico i tre corti-spot sono molto belli, ma è impossibile collegare i rispettivi plot al messaggio di fiducia che dovrebbe raggiungere il correntista. Rimane un’operazione fine a se stessa che rasenta l’inutile autocompiacimento.

Exit mobile version