di Giorgio Bellocci Si farebbe un grande errore a considerare le risse televisive di cui è stato protagonista Giuliano Ferrara, prima a La7 ospite di Enrico Mentana e poi ad Agorà , come semplici momenti di trash televisivo. Per quei pochi che non sono stati raggiunti dalla eco mediatica dei due fatti si può in breve ricordare che il direttore de Il Foglio in entrambe le situazioni ha con foga attaccato tutti quei colleghi rei dal suo punto di vista di avere montato contro Silvio Berlusconi un processo a mezzo stampa. In particolare per il caso Ruby e a maggior ragione nel giorno dell’assoluzione di Mr. B., puntualmente messa nel mirino da Mentana con uno speciale in prima serata venerdì scorso. Se lunedì le urla e l’abbandono dello studio di Agorà altro non sono state che un preciso reply della scena del venerdì, i “nemici” di turno si sono differenziati: nel talk di Rai 3 l’obiettivo ero generico (sempre a livello di stampa), perché i nomi e cognomi erano già stati fatti su La7: Marco Travaglio, Enrico Mentana, Corrado Formigli, Lorella Zanardo (sociologa e autrice dell’anti-berlusconiano Il corpo delle donne ), tra i presenti nel programma. Tra gli assenti Lucia Annunziata, Giovanni Floris, e tutto il gruppo de L’Espresso e Repubblica . Con Travaglio verrebbe da dire nulla di nuovo sotto il sole: Michele Serra e Gad Lerner, tra gli altri, hanno criticato Mentana per aver creato un contesto di rissa molto prevedibile, in considerazione dei precedenti. Ma solo conoscendo e apprezzando il percorso professionale e di vita di Mentana e Ferrara, legati da lontana stima (e probabilmente anche da amicizia personale), si può fare una valutazione che non sfoci sbrigativamente nel giudizio di trash tv. Non che gli spettatori debbano essere vessati da sedute inconsapevoli di psicanalisi, sia chiaro, ma si deve a concedere a Mentana, un gigante della sua professione, la buona fede: l’esito è stato nefasto, ma certo lui non aspirava a scrivere quel tipo di pagina televisiva. Da buon padrone di casa, Mentana ha difeso Travaglio, Formigli e la Zanardo, cercando in tutti i modi di inserire Ferrara in una narrazione se non civile almeno comprensibile. Quando Ferrara ha duramente spostato su di lui il mirino (con tanto di “vaffa”) il direttore del tg de La7 ha mostrato non tanto irritazione quanto una sincera e profonda delusione umana. Mentana, che in diretta ha parlato di “scommessa persa”, sa che Ferrara soffre realmente quando dà vita a questi sfoghi, non essendo un iconoclasta come Vittorio Sgarbi. Soffre, detto senza ironia, perché ha il peso di un percorso politico, umano e professionale che oggi gli presenta il conto. Nota la sua lunga militanza da giovane nel partito comunista italiano (suo padre un big del PCI storico), le due grandi infatuazioni successive sono state Craxi e poi Berlusconi. E’ passato, idealmente, dalla rigida cortina di ferro all’anarchia al potere; alla realpolitik per la quale anche se come presidente del consiglio sei ricattato da varie escort poco importa se fai il tuo lavoro per il bene del paese (quello che lui non capisce è che le due cose non sono slegate). Vorrebbe che tutti la pensassero come lui e non è in grado di comprendere, se contraddetto, l’enorme sforzo di uno come Mentana che realmente gli vuole bene.
Quell’inutile sforzo di Mentana

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