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Se la televisione tocca Caino

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AUDITEL – I NUMERI DELLA TV di Giorgio Bellocci Nel 1996 Dead Man Walking , diretto da Tim Robbins e interpretato da Sean Penn e Susan Sarandon, s’impose all’attenzione del mondo per lo spirito di denuncia nei confronti della pena di morte. La battaglia di Helen Prejean (Sarandon nel film), una suora che da tanti anni porta avanti una grande lotta abolizionista, venne gratificata dalla comunità cinematografica con numerosi riconoscimenti (e unanimi elogi per Penn nella parte di un detenuto destinato all’iniezione letale). In Italia l’opera conobbe un discreto successo, soprattutto di critica, ma non riuscì a imporre nell’immaginario un dibattito serio sulla pena di morte, fermo restando l’impegno di tutte quelle organizzazioni già in prima linea sul tema (Amnesty Italia, “Nessuno tocchi Caino”). Dalla televisione non arrivò nessun segnale, nemmeno dai talk show più seguiti. Nel 2000, all’indomani della sua esecuzione, i ragazzi del primo “Grande Fratello” ebbero la splendida idea di recitare una preghiera per l’anima dell’italo-americano Derek Rocco Barnabei. Qualcuno ne parlò, ma l’episodio piuttosto che stimolare dibattiti da “prima serata” si perse nel folklore delle curiosità del reality. La messa in onda dell’esecuzione di Saddam Hussein sembrerebbe aver cambiato lo scenario all’interno dell’agorà televisivo: programmi speciali, accesi dibattiti… E’ un bel segnale, dal punto di vista giornalistico, che Enrico Mentana e Davide Sassoli abbiano sentito il dovere di imbastire il 30 dicembre, rispettivamente su Canale 5 e Raiuno, due “instant-talk” non previsti in palinsesto (con circa un milione e mezzo a testa di spettatori in tarda serata). Io però penso che ci sia una certa differenza tra una televisione che sente il dovere civile di dibattere di pena di morte, prendendo spunto da un fattore esterno a essa (vedi il caso Dead Man Walking ), e una che vi arriva in modo tortuoso, nell’ambito di un processo autoreferenziale in odore di spettacolarizzazione dell’immagine. In qualche modo il nostro sguardo è stato costretto alla complicità con coloro che hanno filmato con i telefonini il tragico momento, laddove nulla è stato aggiunto né al diritto di cronaca, né alla legittima esigenza del cittadino in merito a una corretta informazione. Non siamo sereni, ma non vogliamo parlare di colpe altrui: oggi più che mai la tv che vediamo siamo noi. 

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