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Si tenta ancora di censurare internet

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Cambiano gli uomini, cambiano i gruppi parlamentari e cambiano, naturalmente, i firmatari dei disegni di legge ma metodi e obiettivi restano sempre gli stessi specie se si tratta di mettere un bavaglio all’informazione online. Le disposizioni della vecchia legge sulla stampa datata 1948, scritta di loro pugno dai padri costituenti si applicano a tutti “i siti internet aventi natura editoriale” ovvero, in assenza di qualsivoglia disposizione che circoscriva l’ampiezza della definizione, a tutti i siti internet attraverso i quali sono diffusi contenuti informativi o opinioni ovvero, con una certa approssimazione, a tutti i siti internet. La disposizione che rimbalza e carambola in Parlamento ormai da quasi anni salta fuori, questa volta, in un disegno di legge presentato dall’onorevole Pino Pisicchio del Gruppo Misto, un disegno di legge che si propone, tra l’altro, di eliminare la pena detentiva per la diffamazione ma dal contenuto liberticida almeno per l’informazione che corre sul web. Una proposta che minaccia di mettere l’ennesimo cerotto dei milioni di italiani che, anche se lentamente, iniziano a scoprire che internet può rappresentare uno strumento di informazione e di manifestazione delle proprie idee e opinioni. C’è tutta la questione sollevata in queste settimane, dalle polemiche sulla Boldrini a Grilo. La sensazione è che tutto quanto è stato detto sinora abbia spianato la strada: una certa politica è tornata sul piede di guerra, con la stessa mentalità che immagina la diffamazione tramite la rete come una aggravante. È parso subito di capirlo, dopo le sentenze contro i blogger, le polemiche strumentali sull’hate speech. L’Italia che doveva essere delle startup e dell’Agenda digitale ora discute ancora delle stesse cose che erano state a ragion veduta combattute e seppellite, due, tre, quattro anni fa. Con gli stessi protagonisti, in ruoli differenti: da Costa ad Alfano, passando da Cassinelli a quel D’Alia che all’epoca fu protagonista di un emendamento molto discusso e oggi è ministro.  Ammazza-blog o ammazza-internet sono i nomi che media e addetti ai lavori hanno già dato una dozzina di volte alla disposizione che, ora, l’on. Pisicchio, ripropone sia approvata dal Parlamento italiano. Non esiste nel nostro Ordinamento una disposizione che stabilisca cosa debba intendersi per “sito internet di natura editoriale” e l’unica norma che lambisce l’argomento ovvero quella sull’editoria, stabilisce che per “prodotto editoriale” – categoria nella quale rientrano anche i siti internet – “si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici”. A tutti i siti internet quindi può essere attribuita “natura editoriale” con l’ovvia conseguenza che se il Parlamento riuscisse ad approvare la famigerata disposizione ammazza-internet, tutte le disposizioni contenute nella preistorica legge sulla stampa diverrebbero applicabili, il giorno dopo, a chiunque diffonda informazioni e opinioni online. Non solo chiunque gestisce un sito internet finirebbe con l’essere soggetto al famoso obbligo di rettifica entro 48 ore, a pena, di una sanzione di diverse migliaia di euro ma ogni blogger e gestore di sito internet si ritroverebbe costretto, come appunto prevede la legge sulla stampa, alla registrazione della propria testata in tribunale e a nominare un direttore responsabile, giornalista salvo eccezioni. Senza contare l’automatico irrigidimento delle responsabilità dei gestori di blog e siti internet oltre che per i propri contenuti, per i commenti di utenti e lettori. Che ci sia ignoranza, malafede o confusione dietro a quest’ultimo tentativo di imbavagliare l’informazione sul web italiano?

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