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Splendidi quegli anni di piombo

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di Giorgio Bellocci Che il cielo preservi sempre in salute Rai Storia, senza le cui proposte la televisione italiana sarebbe oggi molto più povera. Mission fondamentale del canale è quella di tenere vivo il ricordo degli avvenimenti più significativi del passato (con un occhio di riguardo verso le vicende italiane) non in modo fine a se stesso e didascalico ma con l’obiettivo di provare a trovare un gancio con il presente. Il 31 marzo, in prima serata, è andata in onda un’altra perla relativa ai cosiddetti anni di piombo: il docu-film Sfiorando il muro , diretto da Silvia Giralucci nel 2012. Esordio molto apprezzato, fuori concorso, alla 69ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Il film è ispirato al libro autobiografico della stessa regista, L’inferno sono gli altri , incentrato sul ricordo del padre Graziano, ucciso assieme a Giuseppe Mazzola dalle Brigate Rosse nel 1974 nella sede del Movimento Sociale Italiano di Padova. L’opera, diretta magistralmente, è un suggestivo road movie attraverso un percorso emotivo che con varie testimonianze cerca di comprendere lo spirito di un decennio (1970-80) tra i più drammatici della storia d’Italia. Nello specifico, partendo dal ricordo di una scritta sul muro di fronte a casa della nonna e dai filmini Super8 ritrovati negli archivi di famiglia, Silvia Giralucci indaga sui tre anni in cui Padova fu teatro di una violenza diffusa che fece registrare tra le vittime anche il padre iscritto al Movimento Sociale Italiano.  Tra testimonianze dolorose di chi ci credeva ed è sopravvissuto alla mattanza e di chi indagava, il film ha il merito di appassionare lo spettatore con piccoli ma significativi plus: il tono di Silvia (anche voce narrante) che risulta al tempo stesso essere emotivamente coinvolto e lucido (per esigenze giornalistiche); il coraggio di provare a indagare con raziocinio su qualcosa che in realtà è irrazionale e inspiegabile (il perché di tante morti) se non annegando il tutto nel troppo generico concetto di anni di piombo; il conferimento di un alone di tragica grandezza a fatti che oggi sembrano raccapriccianti ma che comunque fanno riflettere nel parallelo con una società come quella odierna che ha congelato ogni ideologia sull’altare del consumismo e dell’egoismo. Il dolore subito dalla Giralucci non le può però consentire di spingersi là dove in pochi hanno avuto il coraggio di farlo: dire che la pietas per i morti deve essere unanime, ma che se c’è stato un inizio per quella follia che ha devastato generazioni questo va individuato nella nascita del Movimento Sociale Italiano. Che, malgrado la legge lo vietasse, si ispirò direttamente al fascismo. Anzi al suo volto peggiore, vale a dire la Repubblica di Salò.  Nel finale del film però Silvia assiste con sconcerto all’omaggio alla memoria del padre da parte di alcuni irriducibili della destra padovana. E davanti a quelle braccia tese e ai motti nostalgici lei non può fare altro che pensare “non mi riconosco in questo”. 

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