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Tra Roma e Torino è questione di festival

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Comincia domani il settimo Festival internazionale della capitale, con la prima direzione di Marco Müller. A fine mese invece debutta Tff, con Amelio alla sua ultima esperienza. La ruggine tra i due eventi è sempre forte. Ancorarsi a una storia gloriosa e antica fatta di grandi set, grandi film, grandi scenografie. Già dal suo primo biglietto da visita, il red carpet dell’Auditorium Parco della Musica, la settima edizione del Festival del cinema della capitale, che domani apre i battenti per concludersi il 17 novembre, tenta di recuperare un’identità. Ecco quindi apparire, lungo la passerella, le creazioni di cartapesta costruite dagli artisti italiani per le pellicole di Cinecittà: dalla divinità egiziana di Cleopatra al Buddha ridente di Gangs di New York , passando per una statua greco-romana del Gladiatore .Nell’anno delle poche star, dei pochi film di maestri riconosciuti a livello mondiale e della scommessa sulle opere prime, il primo Festival dell’era Marco Müller non dimentica il suo debito di gratitudine nei confronti della città che lo ospita. Stavolta l’offerta è meno scintillante, più cinefila e da scoprire. Titoli in prima mondiale, come promesso dal direttore artistico, ma non proprio di enorme appeal popolare. A cominciare dal film di apertura, Apettando il mare del russo tagiko Bakhtyar Khudojnazarov: il piatto forte della cerimonia con Claudia Pandolfi madrina. Le star qui al Festival arrivano comunque: in ordine sparso Jude Law, Sylvester Stallone, Adrien Brody, Bill Murray, James Franco, Matthew Modine, Charlotte Rampling, Daniel Auteuil. Le opere tricolori sembrano quest’anno farla da padrone, sparse tra il concorso e la sezione competitiva Prospettive Italia. In gara per il Marc’Aurelio d’oro, assegnato dalla giuria presieduta dal regista e sceneggiatore Jeff Nichols, ci sono tre pellicole: in ordine di apparizione Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi, Il volto di un’altra di Pappi Corsicato, con Laura Chiatti, E la chiamano estate di Paolo Franchi, con Isabella Ferrari. Un tris d’autore che affronta, rispettivamente, i temi del razzismo, dell’ossessione da chirurgia estetica, e dell’eros di persone mature. La prima vera star a calcare il tappeto rosso del Festival è un’icona della romanità e della commedia italiana: Carlo Verdone, protagonista del docufilm Carlo! di Fabio Ferzetti e Giancarlo Giagni. Ma all’esordio del festival romano non sono tutte rose e fiori. Riemerge infatti l’acuta ruggine con un’altra manifestazione italiana, quella di Torino. “Sono orgoglioso del lavoro fatto – esordisce Gianni Amelio – abbiamo triplicato l’impegno per non restare schiacciati dal Festival di Roma. Faremo un Tff bellissimo, con oltre duecento film, mantenendo la nostra identità. Un festival che sarà colto e popolare, destinato ai cinefili di stretta osservanza ma anche agli spettatori della domenica”. Poi però aggiunge: “Ma provo anche rabbia”. E un brivido corre nella platea. “La rabbia buona, produttiva – prosegue – di chi vuole superare le polemiche con il lavoro e l’entusiasmo”. Vanno riconosciute eleganza e fair play al direttore uscente del Torino Film Festival che ha presentato la ricchissima e quasi miracolosa, date le premesse dello scontro ravvicinato con la corazzata di Marco Müller, trentesima edizione della kermesse, che comincerà il 23 novembre all’Auditorium Lingotto, sede inconsueta obbligata dall’indisponibilità del Regio, con l’esordio alla regia di Dustin Hoffman, Quartet, commedia piena di humour sulla terza età. Che sia la sua ultima edizione è certo: “Appena finito il festival comincerò a girare il mio nuovo film con Antonio Albanese. Era nell’ordine naturale delle cose, il mio lavoro principale è quello di regista. Anche se mi avessero chiesto di restare avrei rinunciato, a malincuore. Avrei detto: devo andare. Ma non lo hanno fatto. E le voci circolate sul mio successore (Gabriele Salvatores in primis) mi hanno amareggiato. Diciamo che da una città elegante come Torino mi aspettavo maggiore classe e fair play”. Guarda avanti, dopo quattro anni alla direzione, in una città molto amata. E torna al cinema. “Puntiamo sulla qualità perché paga – prosegue Amelio – Le passate edizioni abbiamo fatto benino. In questa ci siamo superati. Abbiamo tre film italiani in concorso, alla faccia di certi pigliatutto. Siamo riusciti a costruire un programma eccellente con due milioni di euro, a riprova che conta il lavoro”. Non viene mai pronunciato il nome di Marco Müller, al Massimo, evocato come un convitato di pietra. Certo l’invasione di campo c’è stata da parte della kermesse capitolina, non solo nel calendario ma anche nelle scelte. “Abbiamo un’identità forte, trentennale – gli manda dire Amelio – che nessuno ci potrà rubare o imitare”. E sulla querelle delle date: “La distanza ravvicinata delle due manifestazioni penalizza pesantemente il pubblico e i giornalisti. Avevo chiesto una settimana di distanza in più, non ne hanno tenuto conto. Nessun impegno è stato rispettato. Né da Alemanno, né dal ministro Ornaghi, tantomeno da Müller. Ci siamo difesi con onore”. Orgoglioso del regalo di Altan, che ha donato al Tff la locandina celebrativa, orgoglioso delle due madrine, Claudia Gerini e Ambra Angiolini, orgoglioso del raddoppio della sezione Figli e amanti e degli ospiti che si riverseranno a Torino. “Ci battiamo con i nostri mezzi – conclude Amelio – Ben sapendo, però, che il vero potere contrattuale sta nei budget milionari”.

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