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Venezia66, sapore mediorientale: vince Lebanon

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Israele e Iran: le storie del Medio Oriente conquistano Venezia e la sessantaseiesima edizione del Festival del cinema. Il Leone d’Oro è andato infatti a ‘Lebanon’ di Samuel Maoz, sul conflitto in Libano, mentre quello d’Argento a ‘Women without men’ di Shirin Neshat, sulla difficile situazione delle donne in Iran. Il film di Maoz riporta gli spettatori all’estate del 1982. Un carro armato e un plotone di paracadutisti israeliani vengono inviati a perlustrare una cittadina libanese bombardata. I militari perdono il controllo della missione, che si trasforma in una trappola mortale. Una storia personale in cui il regista racconta la sua esperienza sotto le armi durante la guerra del Libano. Un dramma autobiografico che prova a farsi memoria collettiva, descrivendo il conflitto da un punto di vista interno, come dalla torretta di un carro armato. Ritirando il premio, il cineasta esordiente ha dedicato la vittoria “ alle migliaia di persone nel mondo che tornano dalla guerra, come me: sani e salvi, si sposano, hanno figli, ma dentro i ricordi rimangono stampati nel cuore” . L’anelito di libertà nell’opera di Neshat, invece, si dichiara fina dal titolo. Le sue donne senza uomini affrontano il regime religioso di Teheran da sole, sperando magari che la solitudine diventi un argomento pubblico. Mentre il suo Leone d’Argento sfiorava quello d’Oro del collega israeliano, in un irreale ottimismo senza confine propiziato dalla settima arte, la regista ha dichiarato: “Questo film ha un messaggio per libertà e democrazia. Questo è un film sul mio paese, dove combattiamo per la democrazia da tanti anni. Spero che alla gente sia dato quello di cui hanno bisogno: pace e democrazia” Il resto è stato della giornata di chiusura è stato (quasi solo) corollario. La giuria ha premiato Colin Firth (‘A Single Man’) e Ksenia Rappaport (‘La doppia ora’) come migliori attori protagonisti, mentre Jasmine Trinca si è aggiudicata il riconoscimento come miglior attrice emergente per la sua interpretazione ne ‘Il grande sogno’. Il Premio Speciale è andato invece  a ‘Soul Kitchen’ di Fatih Akin. Delusione, quindi, per i registi e i film italiani, presenti in gran numero e piuttosto sponsorizzati, ma comunque snobbati dai giudici. Nessuna menzione per ‘Baaria’, il dramma storico, e patinato, di Tornatore, mentre a Placido e al suo Sessantotto a-politico restano gli scontri verbali con il ministro Brunetta, che considera il cinema spettacolo, non cultura, e i cineasti fannulloni troppo abituati alle sovvenzioni pubbliche. Placido promette querele, al ministro forse serve un corso accelerato di storia (del cinema). Un Festival senza polemiche sarebbe quanto meno anomalo. Alla fine, però, restano i film.   Tutti gli aggiornamenti sul Festival di Venezia:   Venezia66: ultimi fuochi italiani   Venezia66: applausi per Comencini, in attesa di Placido   Venezia66: il capitalismo degenerato di Moore e il Leone al papà di Pixar   Venezia66: il lato (in)conciliante della mostra   Venezia66: Tornatore convince a metà

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