La 67esima edizione del Festival del cinema di Venezia è ormai a metà percorso, e ancora cerca un’opera simbolo o, quanto meno, rivelatoria. I nomi sfilati sinora al Lido hanno in parte deluso le attese: l’apertura, con Black Swan del Leone d’Oro Aronofsky, non ha entusiasmato i critici, poco convinti anche de La pecora nera di Celestini, che invece ha avuto un buon riscontro dal pubblico. La sofisticata (o pretenziosa?) Sofia Coppola ha strappato applausi con Somewhere , però poco passionali, la trasposizione cinematografica di Norvegian Wood ha seguito la lentezza ossessiva e lattea del romanza, lasciando parecchi dei presenti in sala con qualche perplessità Un Festival sottotraccia, insomma, che non riesce a essere vetrina d’arte e nemmeno tappeto rosso ammiccante. Ma, in fondo, si è solo a metà strada, e Venezia attende ancora registi di prestigio e film dall’alto potenziale. Come 1960 , il lungometraggio che Gabriele Salvatores dedica all’Italia fratturata di cinquant’anni or sono, un documentario anomalo narrato dalla voce di Giuseppe Cederna, che prova ad affiancare memoria critica, collettiva, e spirito privato. O come 20 sigarette , opera che racconta la strage di Nassirya (del 2003) attraverso gli occhi dell’unico sopravvissuto, il regista Aureliano Amadei, che accusa il ministero della Difesa di aver scoraggiato la produzione del film. Anche le polemiche fanno Festival , a loro modo, e risvegliano l’attenzione di appassionati e non. Siamo solo metà strada, già
Venezia67 ancora alla ricerca della sveglia

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