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YouTube disfida le indie, video oscurati

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Google fa sul serio e ha presentato alle case discografiche indipendenti un documento per la distribuzione dei diritti d’autore nel suo nuovo servizio di musica in streaming via YouTube . Se l’accordo non verrà firmato, i video degli artisti dissidenti saranno oscurati dal canale video più popolare del web. Ricatto, logica di mercato, abuso di posizione dominante, libera gestione della propria piattaforma . YouTube è al centro di forti polemiche in queste ore, ma non sembra curarsi delle contraddizioni d’immagine e tira dritto per la sua strada, che porta a un canale di musica in abbonamento (sul modello di Spotify) da lanciare alla fine dell’estate. Chi starà alle sue regole (tutte le major del disco, in buona sostanza), sarà incluso, chi non si accontenta (tra cui alcuni grandi nomi promossi da etichette più piccole), può andare per la sua strada. Da solo. La distribuzione degli introiti di YouTube Music Pass – questo il nome del nuovo servizio – non convincono le indie , che chiedono un trattamento migliore (più soldi). Google però ha in mano la situazione, avendo già assoldato il 90% della musica sul mercato e potendo contare sulla sua potenza tecno-economica : perdere qualche punto di share online a causa dell’assenza di Radiohead, Adele, Sigur Ros e Artic Monkeys non intaccherà i guadagni della società internet, che nel 2013 ha fatturato 42,62 miliardi di dollari (+15% rispetto al 2012), ne penalizzerà più di tanto il parco abbonamenti potenziale del suo streaming. A rischiare di più saranno gli artisti esclusi , che perderanno una visibilità enorme e dovranno rinunciare alla possibilità di ascolti al di fuori della propria nicchia. Perché se è vero che alcuni degli indipendenti riottosi possono contare su un pubblico ampio e solido, molti altri di quel 10% latitante è già relegato al ruoolo di outsider, per cui YouTube è un ottimo canale di promozione e costituisce la via migliore per diffondere la loro musica, penalizzata da un mercato asfittico e da politiche distributive penalizzanti. Una vera alternativa a Google non esiste, ecco perché a Mountain View possono permettersi aut aut di questo calibro ed ecco perché le discografiche minori stanno pensando a una denuncia all’antitrust americano per abuso di posizione dominante. Toccherà probabilmente al Garante stabilire se la linea dura del motore di ricerca (e degli altri colossi della rete) è sostenibile e non penalizza il mercato e la concorrenza (e in ultima istanza l’utenza). L’unico vero danno per Google potrebbe essere d’immagine: per una compagnia che ha per motto “Don’t be evil” (Non essere malvagio), l’aggressività da imperialismo 2.0 suona stridente. Molto più di certo pop d’avanguardia.

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