Il Rapporto della Fondazione Migrantes mostra che il saldo tra chi parte e chi torna in Italia è pari a -817 mila persone. L’Europa è la destinazione preferita; i giovani sono i più mobili ma crescono anche donne e over 50.
In vent’anni 1,6 milioni di cittadini italiani sono espatriati e 826 mila rimpatriati. Un saldo negativo di oltre 817 mila italiani che si concentra prevalentemente in Lombardia, Nordest e Mezzogiorno. Questi i dati più significativi della XX edizione del Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes che ha realizzato l’indagine sulla mobilità del nostro Paese dal 2006 ad oggi. A questo approfondimento hanno partecipato 70 autrici e autori lavorando a 45 saggi articolati in cinque sezioni.
L’emigrazione in questo ventennio è diventata un fenomeno strutturale. Dopo la crisi del 2008 gli espatri sono aumentati costantemente toccando nel 2024 il record storico di 155.732 partenze. Dove vanno i nostri connazionali? L’Europa resta il baricentro della mobilità italiana, con il 76% di espatri. Le mete più gettonate sono Regno Unito, Germania e Svizzera. Negli anni però la mobilità si è fatta più circolare e complessa: si parte, si ritorna, si riparte.
Accanto ai giovani, tra gli italiani residenti all’estero crescono anche le donne con una crescita del +115,9% in vent’anni, secondo i dati Aire (Anagrafe per gli italiani all’estero). Aumentano gli over 50, spesso nonni o lavoratori che raggiungono figli e nipoti all’estero. Le costanti? Una spinta migratoria legata a fragilità strutturali del Paese e a un sistema bloccato per lavoro precario, disuguaglianze territoriali, riconoscimento del merito, ma anche una dimensione di scelta, curiosità e progettualità personale.
Al 1° gennaio 2025 risultano iscritte all’Aire 6,4 milioni di persone, pari a quasi 1 italiano su 9. Oltre 1 milione di italiani nel decennio 2014-2024 si sono trasferiti dal Sud al Centro-Nord con un saldo negativo per il Mezzogiorno di oltre 500 mila persone. I più mobili sono i giovani tra i 20 e i 34 anni (quasi il 50%), seguiti da adulti in età lavorativa.
Le province interne e montane pagano il prezzo più alto: perdita di popolazione, chiusura di scuole e servizi, impoverimento sociale. La mobilità interna, infatti, è spesso la prima tappa di un progetto migratorio più ampio, che molte volte arriva oltre confine.
I dati e le testimonianze raccolte poi dimostrano che non partono solo ricercatori o laureati e che, anzi, prevalgono i diplomati. Il filo comune non è la fuga, ma una scelta, alla ricerca di dignità, riconoscimento e mobilità sociale.

