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27 Aprile 2009 | Attualità

Censura e perbenismo: lo strano caso di Valèrie, ninfomane senza locandina

Valèrie, storia di una ninfomane. Un film di Christian Molina tratto dall’omonimo libro, in uscita questo fine settimana nei cinema nostrani, senza permesso di affissione pubblica per le locandine. Agli esercenti la facoltà di affiggere il manifesto all’interno delle proprie sale. Niente di eclatante o para-rivoluzionario: semplicemente il lemma ‘ninfomane’ ha provocato raccapriccio e cattivi pensieri nella testa dei pubblicitari e delle rispettive agenzie, che di portare nelle città italiane il poster con la mano femminile poggiata su di un inguine, femminile a sua volta, proprio non ne vogliono sapere. Titolo sbagliato e immagine ancor più compromettente, per l’Italia dai sani principi, che rispolvera i vecchi (ma a quanto pare mai desueti) dettami del ‘senso del pudore’, che dal 1946 flagellano in maniera goffa, per niente autoironica e tristemente efficace, l’articolo 21 della Costituzione dedicato alla libertà di espressione. Qualcuno di molto vicino agli ambienti clericali romani avrebbe detto: “ Quella foto invita esplicitamente al peccato” e dunque il manifesto non s’ha da vedere. Di quel che racconta il film, del suo essere più o meno interessante, nulla o quasi si dice. Tommaso Tabarelli, direttore marketing di Mediafilm, la società distributrice, parla di censura e di “ondata montante di bigottismo ”. Si potrebbe, appunto, pensare a un caso montato ad arte da produttori e distributori della pellicola, alla ricerca di pubblicità e titoli di giornale per lanciare un prodotto comunque non di massa e che difficilmente scalerà le classifiche di gradimento dei critici o farà il tutto esaurito al botteghino. Ma, essendo il tutto ambientato in Italia, i contorni della grigia realtà si fanno strada in fretta . Dunque, niente ninfomani, ché se il vocabolo appare sul dizionario è certamente per refuso e per l’intromissione insensata di qualche illuminista. E niente allusioni masturbatorie, che poco si confanno alla gioventù (di giovani e meno giovani) del paese, in particolar modo in questo periodo fosco che richiama i cittadini a condotte più morigerate e in tono con la crisi (anche di nervi) quotidiana. Censura e perbenismo sono i termini più gettonati dai commenti riguardo questa che dovrebbe essere una non-notizia, e invece ha fatto e farà ancora parlare di sé. Sarebbe bello poter ridere della cosa e dare dei retrogradi polemici a coloro i quali hanno rispolverato i suddetti termini. E invece è impossibile non sentirsi annoiati, vecchi e un po’ stanchi, nel constatare come lo Stivale abbia ancora (e sempre) problemi con il linguaggio e l’immaginario legato al sesso , a meno che non sia all’amatriciana come le grazie datate (e rivalutate) della Fenech, o ossessivamente vuoyeristico come la ginnastica da spiaggia dei resti da tv-reality. La parola e la carne, che dovrebbero liberare da tabù e superstizioni, continuano a castigare l’Italia. I sintomi da intossicazione plastico-moralista sono ormai cronici tanto che, come nell’informazione più servita, gli addetti ai lavori si auto-censurano per abitudine e convenienza. Intanto, Valèrie, che ninfomane lo è stata per davvero (vista l’enfasi autobiografica del film-libro), aspetta di sapere se sarà vietata ai 14 o ai 18 anni. Difficile dire se gli italiani ci perderanno la vista, o solo la faccia.

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