Dopo il terremoto provocato dal presidente dimissionario Guido Rossi, ora l’attenzione sul futuro di Telecom diventa un dovere nazionale. L’attacco sferrato a Tronchetti Provera richiama l’attenzione non solo sulle modalità in cui operano i finanzieri italiani, ma lancia un allarme su un rischio che non è più implicito, ma molto chiaro: il futuro della rete di telecomunicazioni in parte ancora di proprietà dello Stato, elemento del sistema nervoso dell’economia nazionale, potrebbe sottostare non tanto a una economia di mercato, quanto alle esigenze individuali di alcuni azionisti. Per questo nelle ultime ore si è alzata a gran voce la richiesta di intervento dello Stato, al quale deve spettare un ruolo di controllo, anzi un obbligo. Per dirla in termini rozzi, se Guido Rossi avesse ragione, si potrebbe ipotizzare che Tronchetti Provera stia gestendo la vendita non per il bene della società, ma per il suo personale , infischiandosene del danno collettivo che ne potrebbe scaturire. Tutto ovviamente da dimostrare, ma che è opportuno faccia stare politici e stampa con le orecchie tese. Consapevole di questa svolta, il presidente del Consiglio Romano Prodi ha oggi illustrato la sua linea con un’intervista a Ferruccio De Bortoli sul Sole 24 Ore. Prodi, che di queste cose indubbiamente se ne intende, sostiene che la dichiarazione di interesse per Telecom non sia americana e messicana, ma soltanto messicana, dettata quasi unicamente dall’interesse di Slim per Tim Brasile. Sul tavolo c’è la volontà di At&T e America Movil di rilevare il 66% di Olimpia che controlla il 18% di Telecom. Prodi racconta di aver incontrato l’ambasciatore statunitense in Italia, Ronald Spogli, “esattamente un giorno e mezzo” dopo l’annuncio dell’operazione. Ma dell’offerta non si è parlato. Curioso, nota il capo del Governo, considerato quanto Spogli sia vicino agli interessi della business community del suo Paese. E questo, conclude il premier, fa supporre che il vero interesse dietro l’offerta sia messicano e dettato dalla volonta di Carlos Slim di mettere le mani su Tim Brasil con un rischio “spezzatino” tutt’altro che remoto. Ma non per questo lo Stato si impegnerà maggiormente in Telecom. La soluzione preferita è quella dello scorporo delle rete, cioè della struttura di trasmissione un po’ come è stato fatto con Terna nel caso di Enel. Questa struttura di trasmissione sarebbe accessibile a tutti gli operatori. “Una società di garanzia di transito – dice Prodi – che metta a disposizione un monopolio naturale, un sistema nervoso più tecnologico ed efficiente di quello attuale”. Prodi sostiene poi che in nessun altro Paese si farebbero portar via sotto il naso il principale operatore delle telecomunicazioni. Non è pensabile una cosa del genere in Germania. Berlino tiene ben saldo il controllo, in mani anche pubbliche, di Deutsche Telekom. Lo stesso accade con France Telecom. E non si può nemmeno immaginare che gli europei restino indifferenti ad attacchi esterni, americani o asiatici, ai propri campioni industriali. Ma perché nessuno da noi – si domanda ancora Prodi – va a vedere quante regole e limiti mettono al possesso straniero, per esempio delle compagnie aeree, gli Stati Uniti, patria del capitalismo di mercato? Prodi sprona i capitalisti italiani. “Che cosa posso dire di quello che sta succedendo? Una sola cosa. Che bel capitalismo, complimenti. E dicono ancora – continua Prodi – è il mercato, bellezza! Ma c’è da morir dal ridere… E’ tutta una corsa a chiedere protezioni e favori”. Per Prodi il bosco poco folto degli attori industriali italiani è un panorama desolante. “Avremmo bisogno – aggiunge – di forti piante…”. Prodi sottolinea che il governo sta facendo di tutto “seriamente e concretamente” per favorire le imprese italiane all’estero. Anche come azionista. Il riferimento all’Enel che “silenziosamente” sta conquistando Endesa in Spagna e, insieme all’Eni, parte delle attivita’ Yukos in Russia. “Abbiamo fatto soltanto il nostro dovere – dice Prodi – ma lo abbiamo fatto”. Per Prodi l’opposizione agita le ragioni della libertà d’impresa solo per contingenti e modeste speculazioni politiche. Di cultura liberale – sostiene Prodi – dalle parti di Berlusconi se ne vede poca. Il presidente non si preoccupa delle dichiarazioni di Di Pietro e Giordano sulla vicenda Telecom. “Non le ritengo pericolose – dice Prodi – è normale dialettica politica all’interno di un esecutivo e di una maggioranza che vanno avanti per la loro strada”. Dal fronte del governo anche il ministro per lo Sviluppo economico Bersani dice oggi la sua opinione sul giornale Il Messaggero. Per Bersani in questa fase della vicenda Telecom “la palla non la gioca il governo, a battere un colpo ora deve essere il sistema finanziario e industriale” . “Il punto di oggi – spiega – è vedere se il sistema industriale e finanziario italiano è in grado di rispondere a una legittima ancorché discutibile operazione di compravendita di una scatola cinese con il conseguente decollo della controllata Telecom oltreoceano”. “La palla in questi giorni è ad altri attori – prosegue Bersani – dopodiché è chiaro che noi seguiamo la vicenda. E quindi può anche accadere che a un certo punto il tema del radicamento nazionale della rete possa porsi. Ma non è ancora così per adesso”. Secondo Bersani il sistema industriale e finanziario italiano “è meno debole di quel che si pensi, se c’è una reazione virile e matura ci sono tutte le condizioni perché l’operazione Telecom venga corretta”. Ritornando sul discorso delle rete, il ministro afferma che “finché non ci sarà un sistema europeo delle reti strategiche, dall’energia alle Tlc, è difficile che queste non debbano avere un radicamento nazionale” perché alcune di queste reti “contengono elementi di garanzia nel sistema nazionale che non sono rinunciabili”. Sulla vicenda interviene anche l’ex presidente di Confindustria, Antonio D’Amato, in un’intervista a ‘Libero”. Dice D’amato: “Due aspetti della vicenda Telecom sono ancor più fondamentali del giudizio sui suoi singoli attori. Da un lato sono in gioco interessi tanto grossi che hanno persino forato il muro del silenzio e compiacenza della grande stampa italiana, che tratta abitualmente coi guanti bianchi gli affari dei suoi azionisti, tutti parte di questo establishment intrecciato banco-industriale. Dall’altro lato c’è l’enorme distruzione di un valore realizzata negli anni sia in Telecom che in Pirelli, le terribili vicende dell’illecito dossieraggio attuato in entrambe le aziende a danno di concorrenti e a vasto spettro nel mondo della banca, della finanza e dell’impresa”. , spiega che “la somma di questi due aspetti rende la faccenda Telecom il simbolo di quanto di più deteriore viene associato all’Italia sui mercati esteri: un Paese in cui gli amici e gli amici degli amici ottengono per sè ciò che a chi sta sul mercato viene negato dalle sue regole”. D’Amato, poi, aggiunge: “È la cerchia che rappresenta il residuo del cosiddetto ‘salotto buono’ della finanza italiana, la sedicente ‘ala nobile’ dell’industria italiana, che invece di buono e di nobile non hanno proprio niente. Per anni hanno intrecciato tra loro patti di sindacato e controllato grandi capitali attraverso spericolate leve finanziarie consentite da scatole cinesi a cascata”. E poi Valentino Parlato ex direttore de Il Manifesto e amico di Guido Rossi: “Mi posso sbagliare, ma penso che Guido Rossi consideri il capitalismo irriformabile. Certo gli si possono imporre certe regole perché non sia troppo maleducato e perverso, e può anche andare avanti così per un po’, ma la sua natura non cambia. Altro che capitalismo perfetto, trasparente, concorrenziale: Guido ha vissuto troppo tempo per poter credere a questo sogno” . E il caso Telecom “è la solita storia -continua – quando il capitalismo è nei guai accetta le medicine, appena riprende salute torna terribile. Ora il guaio -dice Parlato- è che invece di prendere i farmaci giusti, come gli direbbe Guido Rossi, pensa a riprendersi a forza di droghe. Ma alla fine -commenta- uno scoppia”
“Né assenti né reticenti”. Prodi sul futuro di Telecom

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