Si intitola “The Lobster Empire” la mostra di Philip Colbert che viene aperta al pubblico il 9 novembre a Roma, presso il Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro. L’artista – scozzese di nascita e londinese di adozione – accompagna l’opera con 12 opere (naturalmente, aragoste) di grandi dimensioni posizionate lungo tutta via Vittorio Veneto, a partire da Porta Pinciana, mentre La Laterna di Fuksas in via Tomacelli ospita un’enorme, singolarissima, aragosta gonfiabile che vigila sui tetti della Capitale. Il tutto fino all’8 gennaio 2023.
A Love Affair with Italy
“Ho una vera e propria storia d’amore con l’Italia”, dichiara Colbert a Telepress, in una pausa dell’allestimento che martedì 8 novembre accoglie i giornalisti: “Torno a Roma, dove presento anche una serie inedita di miei quadri dedicati a Venezia. Amo venire nel vostro Paese: magari sono partito dopo due giorni di pioggia continua, come mi è appena accaduto, e trovo il sole e l’aria tersa, mentre la vita e le conversazioni delle persone si svolgono così tanto nelle strade e nei café…”. La sua non è solo una frequentazione da turista, dunque: è venuto a Roma più volte per lavoro e questo gli ha consentito di “conoscere nel modo giusto la città, entrando in contatto con quella antica con quella meno turistica; con tutta la potenza e il mistero che ancora conserva; con gli aspetti più incredibili della sua architettura”.
Colbert ha studiato Filosofia all’Università, maturando una vera e propria passione per Nietsche e per De Chirico e trova che Roma sia la metafora perfetta della metafisica, “perché qui antico e moderno, rovine e novità, presente e assente (non solo passato), visibile e invisibile sono una costante della sua importanza culturale. Camminare per la città è come attraversare letteralmente strati di storia e avere la possibilità aprire un dialogo con ognuno di essi e con l’umanità stessa”.
Perché l’aragosta
L’attenzione di Colbert per l’essere umano e la sua essenza arriva da lontano e si sintetizza nella figura dell’aragosta, che in tanti momenti dell’arte – da quella romana al Surrealismo di Salvador Dalì – è stata un simbolo fortissimo, anche dell’essere mortali. “Racconto sempre che sono diventato un artista quando sono diventato un’aragosta. Non è solo una frase a effetto: è come se avessi avvertito un richiamo ancestrale. L’artista è un po’ un alieno che deve saper captare il mondo in modo diverso ed è quello che fanno le aragoste con le loro antenne, con cui praticano anche la telepatia. Più le interpreto, più le riconosco come simbolo, mio e dell’umanità”.
“The Lobster Empire”
Nella mostra le aragoste di Colbert rivisitano la Storia, in un viaggio dall’antichità alla realtà virtuale e al metaverso, del quale viene considerato un pioniere sul fronte dell’arte. A San Salvatore in Lauro si passa dalle opere più materiche a quelle digitali: diciotto in tutto, compresa una serie di preziose sculture in marmo bianco di Carrara che riproducono l’aragosta in scene classiche: il combattimento con il Minotauro, il taglio della testa di Medusa, la lotta con il serpente di Laocoonte. E poi ancora tele multistrato dai colori forti a olio e più spiccatamente pop, dalle quali si capisce perché l’artista venga indicato come una sorta di erede morale di Andy Warhol e si definisca Neo Pop Surrealist.
Lobsteropolis protegge gli animali marini
Soprattutto, però, le opere di Colbert parlano del suo impegno come attivista per l’ambiente al fianco di Platform Earth, associazione artistica che riunisce scienziati, attori, poeti e altri noti artisti come Brian Eno e Marina Abramović. A tale proposito va ricordato “Lobstars”, il suo progetto comunitario sul metaverso: una collezione di 7.777 aragoste NFT, che hanno attribuito ai collezionisti acquirenti la cittadinanza di Lobsteropolis City, l’intera città dedicata all’aragosta che Colbert ha fondato sulla piattaforma del mondo virtuale in 3D Decentrentraland. La cospicua somma ricavata dall’operazione è stata devoluta alla ricerca a favore del benessere degli animali marini, in linea con le ultime direttive del governo britannico.
di Daniela Faggion