Circa quattro milioni e mezzo di persone vivono in Comuni dove ha chiuso almeno uno dei negozi alimentari di base
Bello andare a vivere nei piccoli centri, sperando di ritrovare una dimensione più umana e più vera… Peccato che in alcuni posti sia impossibile fare la spesa minima. Secondo una recente analisi di Fiesa Confesercenti in Italia ci sono oggi circa quattro milioni e mezzo di persone che vivono in Comuni dove è scomparso almeno uno dei negozi alimentari di base. Centinaia di paesi non hanno più un panificio, altrettanti hanno perso il negozio di frutta e verdura, altri ancora non dispongono più di una macelleria o di un punto vendita per latte e derivati. Il risultato è una crescente difficoltà ad accedere ai beni quotidiani, con conseguenze particolarmente pesanti per chi vive nelle aree interne e nei centri minori, dove le alternative in termini di mobilità e servizi sono ridotte.
Il quadro delineato mostra come negli ultimi anni la rete di prossimità si sia progressivamente assottigliata e il commercio alimentare tradizionale abbia subito un’erosione costante. Tra il 2019 e il 2024 il numero di botteghe specializzate, dai panifici alle pescherie, si è ridotto di oltre settemila unità, accompagnato dalla perdita di migliaia di posti di lavoro. Il calo è più marcato proprio nei comuni con meno di cinquemila abitanti, ma non risparmia nemmeno le grandi città, segno che la crisi della prossimità riguarda l’intero Paese, seppure con intensità differenti.
Un comportamento diverso emerge invece tra minimarket e supermercati indipendenti, che pur vedendo diminuire i punti vendita riescono a mantenere livelli occupazionali più stabili. Le superfici commerciali si riducono sensibilmente, ma il numero di addetti cala in misura più contenuta, come se queste realtà riuscissero ad assorbire meglio i cambiamenti del mercato rispetto alle botteghe tradizionali.
La desertificazione commerciale non riguarda, però, solo il comparto alimentare. Negli ultimi dieci anni si stima che in Italia abbiano chiuso oltre centomila attività del piccolo commercio in sede fissa, con una media di varie chiusure al giorno. È un fenomeno che interessa grandi e piccoli centri e che si manifesta anche attraverso la scomparsa di edicole, bar di quartiere, negozi di vicinato o banchi ambulanti. In molte città la riduzione del numero di esercizi attivi supera il venti per cento rispetto a un decennio fa, confermando una tendenza strutturale, non episodica.
A pesare è anche l’inflazione alimentare. Pur essendo stata in Italia meno intensa rispetto alla media europea negli ultimi anni, ha comunque eroso il potere d’acquisto delle famiglie, che hanno ridotto i volumi di acquisto pur spendendo di più. In pratica si paga un prezzo sensibilmente più alto per mettere nel carrello una quantità di prodotti inferiore: un meccanismo che colpisce in modo particolare le famiglie con redditi più bassi e i gruppi sociali già esposti alle difficoltà di accesso ai servizi.
Per reagire a questa tendenza servono interventi che tengano insieme economia e coesione territoriale. Le proposte avanzate da Fiesa Confesercenti insistono sulla necessità di rafforzare i Distretti del Commercio, riconoscere i negozi essenziali come parte della struttura di servizio dei territori e alleggerire i costi fissi delle microimprese, a partire dal costo del lavoro. Si tratta di misure che puntano non solo a salvare le attività economiche, ma a preservare la vitalità delle comunità: perché la presenza di un negozio non rappresenta soltanto un luogo dove fare acquisti, ma garantisce socialità, presidio e qualità della vita. Quando una bottega chiude, infatti, non scompare solo un pezzo di economia locale: si indebolisce la possibilità stessa di rimanere in quei territori.

