E’ morto il 23 maggio a Parigi all’età di 81 anni Sebastião Salgado (Aimorés, Brasile, 8 febbraio 1944) uno dei più grandi fotoreporter della storia contemporanea. Salgado è stato “tutto” dal punto di vista della fotografia. Capace di raccontare con le sue immagini la dignità, la sofferenza delle persone, il valore e la forza di popoli martoriati dalla guerra o fuori dalle regole della società. È riuscito a restituire nelle sue immagini uniche la sacralità della terra e il valore di un pianeta spesso incompreso dall’uomo.
La redazione di Telepress l’ha incontrato a Milano l’ultima volta che è stato in Italia, insieme a sua moglie Lélia Wanick, in occasione della mostra Amazonia. Anche in questo incontro la totale dedizione per la fotografia, l’amore e la passione per il suo lavoro sono emerse chiaramente nel racconto del progetto fotografico su una delle più grandi foreste del mondo.
Amazônia: il nuovo lavoro di Sebastião Salgado e Lélia Wanick in mostra a Milano
Brevi cenni di vita
Salgado si è formato come economista, conseguendo un dottorato a Parigi, ma negli anni ’70 un viaggio di lavoro in Africa lo spinse a dedicarsi interamente alla fotografia. Ha iniziato come freelance per l’agenzia Sygma nel 1974, poi Gamma (1975-1979) e infine Magnum Photos dal 1979, lavorando al fianco dei più grandi maestri del fotogiornalismo. Nel 1994 fondò con la moglie Lélia Wanick, con cui condividerà tutta la vita e gran parte del suo lavoro coinvolgendola attivamente, l’agenzia Amazonas Images, dedicata esclusivamente alla promozione e gestione del suo lavoro.
I suoi progetti più celebri includono:
Other Americas (1986): reportage sulla vita rurale in America Latina.
Sahel: l’homme en détresse (1986): la carestia in Africa.
Workers (1993): un monumentale affresco sul lavoro manuale nel mondo, accompagnato da una mostra presentata in oltre 60 musei internazionali.
Migrations (2000): le grandi migrazioni umane e i rifugiati.
Genesis (2004-2011): un viaggio fotografico nelle regioni più incontaminate del pianeta, per mostrare la bellezza e la fragilità della Terra.
Amazonia (2021): un omaggio alla foresta amazzonica e alle popolazioni indigene.
Salgado ha ricevuto decine di premi internazionali, tra cui il Premio Eugene Smith per la fotografia umanitaria, due ICP Infinity Awards, il Premio Hasselblad, il Premio Imperiale e il Crystal Award del World Economic Forum.
L’impegno con l’Instituto Terra
Il suo impegno con il pianeta si è concretizzato in un progetto di riforestazione unico al mondo. Nel 1998, segnato dalle tragedie umanitarie documentate e dal degrado della fattoria di famiglia ad Aimorés, Salgado insieme alla moglie fonda l’Instituto Terra, un’organizzazione non governativa dedicata al recupero ambientale della Mata Atlântica. L’Instituto Terra ad oggi ha piantato oltre 4 milioni di alberi e riportando in vita circa 17.000 ettari di terra degradata.
La riserva Fazenda Bulcão, cuore del progetto, è oggi un modello di biodiversità: sono tornate centinaia di specie animali e vegetali, tra cui il giaguaro, simbolo della rinascita dell’ecosistema. L’istituto si occupa anche di formazione ambientale, ricerca scientifica e sensibilizzazione delle comunità locali, con l’obiettivo di riforestare entro il 2050 un’area di oltre 344.000 miglia quadrate.
L’eredità
Sebastião Salgado non c’è più fisicamente, ma ci sarà sempre perché lascia un patrimonio di immagini che hanno contribuito a sensibilizzare il mondo sui drammi e le speranze dell’umanità, ma anche una foresta rinata, viva, simbolo concreto di speranza e impegno civile. Con la sua opera, ha dimostrato che la fotografia può essere strumento di denuncia, memoria e rinascita.
di Sara Giudice