In esposizione fino al 16 aprile nella bellissima cornice del Museo Diocesano di Milano la mostra fotografica di Lee Jeffries: “Portraits” curata da Barbara Silbe e Nadia Righi. Cinquanta immagini del fotografo inglese diventato la voce degli emarginati attraverso le sue fotografie in bianco e nero e a colori che catturano i volti di quell’umanità nascosta e invisibile che popola le strade delle grandi metropoli dell’Europa, e degli Stati Uniti.
Fotografo autodidatta, Lee Jeffries inizia la sua carriera quasi per caso, nel giorno che precedeva la maratona di Londra del 2008 quando scatta una fotografia a una giovane ragazza senzatetto che sedeva all’ingresso di un negozio; rimproverato per averlo fatto senza autorizzazione, Jeffries si ferma a parlare con lei, a interrogarla sul suo passato, a stabilire un contatto che andasse al di là della semplice curiosità per scavare nel profondo dell’animo della persona che aveva di fronte.
Da allora inizia a interessarsi e a documentare le vite degli homeless, passando dai vicoli di Los Angeles fino alle zone più nascoste e pericolose delle città della Francia e dell’Italia.
Grazie al suo sguardo e alla sua arte spirituale, come lui stesso è solito definirla, Lee Jeffries fa emergere le persone senza fissa dimora dal buio in cui sono reclusi e cerca di ridare luce e dignità a ogni essere umano. Le sue fotografie sono ritratte e il suo stile è caratterizzato da inquadrature in primo piano fortemente contrastate, e da interazioni molto ravvicinate con i soggetti, dei quali riesce a far emergere i volti nella loro straordinaria potenza espressiva.
Abbiamo incontrato Nadia Righi direttrice del museo e curatrice della mostra che ci ha spiegato la cifra stilistica di Lee Jeffries e il suo messaggio, il suo modo di raccontare il bisogno umano attraverso il volto dei più fragili.
di Sara Giudice