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15 Gennaio 2023 | Attualità, Innovazione

Cade un fulmine, professore italiano scopre un nuovo materiale

È un quasicristallo prima sconosciuto, individuato da Luca Bindi dell’Università di Firenze nell’ambito di uno studio internazionale.

Probabilmente non è stato a ciel sereno, ma il fulmine che ha fatto scoprire un nuovo materiale ha avuto più o meno quell’effetto. Andiamo con ordine: Una saetta si abbatte su una linea elettrica presente fra le dune delle Sand Hills, nello stato americano del Nebraska. La conseguenza è la formazione di un composto con una composizione chimica prima ignota. A questo punto cominciano le analisi del nuovo materiale, che coinvolgono i ricercatori della Princeton University, del Caltech di Pasadena, della University of South Florida, ma soprattutto Luca Bindi, ordinario di mineralogia all’Università di Firenze, che riesce a individuare un nuovo quasicristallo grazie alla strumentazione presente nei laboratori del suo ateneo.

La notizia è stata raccontata nel dettaglio da PNAS, prestigiosa rivista che raccoglie scoperte scientifiche sotto il sigillo della National Academy of Sciences degli Stati Uniti. Gli studiosi si sono concentrati sulle fulguriti, materiali prodotti dal calore sviluppato da una scarica elettrica su rocce terrestri: nel caso particolare, fondendo la sabbia silicea contenente quarzo. Racconta il professor Bindi: “Il campione che abbiamo analizzato si era formato probabilmente dalla fusione di sabbia e materiale di una linea elettrica abbattuta dalla potente scarica di un fulmine. La presenza di vetro siliceo suggerisce che si siano raggiunte temperature di almeno 1710 gradi centigradi”.

Bindi è un vero luminare della materia e spiega: “I quasicristalli sono materiali in cui gli atomi sono disposti come in un mosaico, in modelli regolari che però non si ripetono nello stesso modo, come invece succede nei cristalli ordinari”. Per questo tecnicamente si chiamano cristalli “quasiperiodici”, scoperti per la prima volta come prodotti di sintesi in laboratorio a metà degli anni 80 da Dan Shechtman, poi premio Nobel per la chimica nel 2011. Circa quindici anni fa, poi, lo stesso Bindi scoprì che i quasicristalli esistevano anche in natura: infatti, individuò il primo quasicristallo naturale in un campione conservato nel Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze. In seguito, il gruppo di ricerca di Bindi ha mostrato che in realtà il primo quasicristallo naturale aveva un’origine extraterrestre, dimostrando che questi materiali possono formarsi in condizioni estreme e sopravvivere per miliardi di anni. Il precedente capitolo della ricerca di Bindi era stato scritto l’anno scorso, con la scoperta del primo quasicristallo di natura antropica, formatosi nel processo di detonazione del primo test nucleare (“Trinity test”) condotto dagli Usa nel 1945.

Caratteristica comune di tutti questi quasicristalli è il fatto di essere stati prodotti in condizioni di pressioni e temperature estreme, fluttuanti nel giro di nanosecondi. La loro struttura li rende preziosi anche per applicazioni in vari settori industriali. La loro quasiperiodicità infatti, li fa utilizzare in sostituzione del teflon in pellicole antiaderenti (nelle padelle, ad esempio) o per impieghi in campo militare, vista la caratteristica di questi materiali di diminuire la rilevabilità ai radar. Visto che questi composti sono stati scoperti solo circa 40 anni fa e non si è ancora capito molte delle proprietà fisiche che li caratterizzano, il loro campo di applicazioni è solo allo stato embrionale. Siamo solo alla punta dell’iceberg del loro utilizzo.

di Daniela Faggion

Un nuovo quasicristallo si è formato probabilmente dalla fusione di sabbia e materiale di una linea elettrica

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