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15 Febbraio 2023 | Attualità, Innovazione

Capire il cervello umano? Si comincia da un pesce

Uno studio dell’Università di Ferrara promette di comprendere il cervello e le sue malattie a partire dal pesce zebra. E finisce su una prestigiosa testata scientifica.

Coi social e l’uso smodato degli smartphone qualcuno ha calcolato che il livello di attenzione delle persone si sia abbassato a quello dei pesci rossi. Le analogie fra cervello umano e cervello dei pesci potrebbero essere però molte di più e avere anche risvolti utili. Secondo una ricerca condotta dagli zoologi del Dipartimento di Scienza della Vita e Biotecnologie dell’Università di Ferrara, infatti, potrebbe trovarsi nei pesci la chiave per studiare malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e per indagare le funzioni cognitive complesse del sistema nervoso.

L’indagine in questione, infatti, ha dimostrato che un gene cruciale per lo sviluppo cognitivo nei mammiferi – il bdnf – è altrettanto importante nei pesci. È emerso inoltre che i pesci con livelli più alti del gene bdnf apprendono più velocemente, mentre quando lo stesso gene viene silenziato si osservano “enormi deficit cognitivi”. Il pesce alla base della ricerca è lo zebrafish, o Danio rerio: è utilizzato nei laboratori di genetica già da tempo e ora può essere un “nuovo modello chiave per lo studio del sistema nervoso”, afferma il coordinatore della ricerca, Cristiano Bertolucci. Capiamo subito che cosa fa esattamente il gene bdnf. Esso produce una proteina (BDNF) appartenente alla famiglia delle neurotrofine. Queste stimolano la crescita, la sopravvivenza e il differenziamento dei neuroni e svolgono un ruolo nell’apprendimento, nella memoria e in altri processi cognitivi.

Determinati pesci possono perciò diventare un modello utile per studiare malattie complesse, come quelle neurodegenerative. “Lo zebrafish”, spiega ancora Bertolucci, “è riconosciuto come un nuovo modello chiave per lo studio del sistema nervoso, anche se alcuni ricercatori faticano a svincolarsi dai modelli tradizionali, come il topo. I mammiferi roditori, infatti, sono modelli d’elezione e molto più vicini all’uomo dal punto di vista della fisiologia e non solo. Tuttavia, i modelli come lo zebrafish possono aiutare i ricercatori a ridurre i tempi della sperimentazione ed aumentare la dimensione degli studi. Infatti, pesci come lo zebrafish producono quasi ogni giorno centinaia di embrioni trasparenti che si sviluppano rapidamente e all’esterno della madre, facilitandone l’osservazione”.

“Questo progetto nasce dall’ipotesi che esistano moduli cognitivi di base comuni a tutti i vertebrati”, dice Tyrone Lucon-Xiccato, primo autore dello studio. “L’idea si fonda su dati raccolti in decenni di studi, che fino a ora non avevano ancora trovato un riscontro di tipo genetico. La possibilità è stata data dalle moderne tecniche di mutagenesi come la CRISPR/Cas9, con cui si riescono a ottenere facilmente mutanti di varie specie che non posseggono i geni chiave per il funzionamento cognitivo. I ricercatori possono quindi, per esclusione, capire in quali processi cognitivi un dato gene è coinvolto. Quando due animali filogeneticamente distanti – per esempio un mammifero e un pesce – mostra una capacità cognitiva che sembra simile e che ‘scompare’ silenziando un certo gene, è ragionevole pensare che tale capacità sia evolutivamente conservata, e quindi comune, alle due specie.

E adesso? “Stiamo lavorando cercando di capire il ruolo di questa neurotrofina in altri comportamenti complessi e nello sviluppo di organi si senso”, raccontano gli scienziati: “Inoltre stiamo collaborando in progetti preclinici che intendono usare il modello zebrafish per fini applicati: conoscenze sui geni che influiscono il funzionamento cognitivo in zebrafish possono essere utili per studiare le malattie nell’uomo”.

La ricerca ha avuto l’onore della pubblicazione sulla rivista Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences e il gruppo degli studiosi di zoologia dell’Università di Ferrara è stato recentemente inserito nel progetto nazionale ‘Partenariato Esteso di Neuroscienze e Neurofarmacologia’finanziato dal ministero per l’Università e la ricerca, che ha cofinanziato anche una borsa di dottorato nell’ambito del PNRR.

di Daniela Faggion

Pesci

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