Il motore di ricerca più popolare della rete introduce un servizio in persiano per l’Iran, mentre viene bloccato in Cina con l’accusa di promuovere la pornografia. Web e democrazia. Un’associazione ingenua e semplicistica, che però, stando alle reazioni autoritarie dei regimi di una parte di mondo, sembra avere qualcosa di vero. Il governo iraniano ha in Google un nuovo nemico: il motore di ricerca fornisce ora un traduttore dall’inglese al persiano e viceversa, per favorire la diffusione di informazioni. Nel mirino ci sono le notizie in cui si parla della rivolta contro Ahmadinejad. Il lancio della nuova versione avviene per “accrescere l’accesso all’informazione”, dicono dalla sede di Google. L’esempio di Twitter, divenuto vero veicolo di informazione durante la protesta iraniana, ha già fatto scuola. Mentre in Iran si manifesta e ci si affaccia dalle finestre virtuali per comunicare con il mondo, in Cina si torna a parlare di censura. Il governo dei paese asiatico sta fronteggiando la protesta esplosa in rete dopo l’introduzione di un filtro alla navigazione. Nel mirino c’è Google di cui sono stati sospesi i servizi che fanno ricerche sulla rete estera. E’ stato così bloccato di fatto il flusso di informazioni proveniente da blog, forum e testate fuori dal controllo statale. La motivazione addotta per la nuova censura cinese è quella di una presunta propaganda di contenuti pornografici attuata da Google. Ma sotto il velo del moralismo si nasconde la volontà di bloccare i siti politicamente critici o ritenuti preoccupanti dal regime. Siti che i webmaster, per non essere perseguiti, aprono su server collocati fuori dal Paese.
Cina: bloccate BigG

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