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29 Novembre 2022 | Attualità

Cop 27 vista da dentro

29In Italia non si parla già più della Conferenza sul Clima dell’Onu numero 27 che si è svolta e chiusa a Sharm el-Sheikh. Ma gli Italiani là presenti assicurano che sia stata davvero importante. Capiamo perché.

 

La conferenza sul Clima dell’Onu numero 27 si è chiusa con un accordo per creare un fondo che aiuti i Paesi più fragili a risollevarsi dopo eventi ambientali catastrofici, mentre ha registrato un sostanziale status quo rispetto a quanto stabilito alla Cop26 di Glasgow, nel 2021, in merito alla mitigazione delle emissioni che alterano il clima. Questo è parso un sostanziale pareggio, ma in realtà è – secondo la delegazione di Italian Climate Network – un “risultato storico, inseguito da 30 anni”, spiega Jacopo Bencini, Policy Advisor e Capo Delegazione Italian Climate Network. La Onlus, nata a Roma nel 2011 con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza in merito ai cambiamenti climatici, era presente con una delegazione in Egitto a rappresentare la società civile che, anche in Italia, si impegna per l’ambiente.

 

Chi più inquina più aiuta (forse)

Cop27 ha gettato le basi per una formula di compensazione da parte dei Paesi più responsabili di emissioni nei confronti di quelli che, invece, più ne pagano le conseguenze senza essere altrettanto “inquinatori”. Ma non è cosa fatta: a stabilire chi riceve, chi paga e come paga sarà un comitato di transizione, che ha tempo un anno o poco più. Sembra quanto meno assodato il principio di fondo secondo cui chi ha ottenuto maggiori benefici sfruttando il pianeta aiuterà chi ha ottenuto i maggiori danni da queste azioni. A tale proposito è importante la distinzione che ha voluto l’Unione europea nel testo dell’accordo: si parla di priorità ai Paesi più vulnerabili, e non a tutti i Paesi in via di sviluppo, fra cui rientrano ufficialmente ancora sia Cina che India.

Complice la presidenza egiziana della Conferenza di quest’anno – spiega Bencini – “i Paesi del Sud del mondo sono riusciti, con grande compattezza politica e negoziale, ad arrivare a un risultato inseguito da almeno trent’anni dal gruppo G77 dei Paesi in via di sviluppo e dalla società civile globale. Nelle due settimane a Sharm el-Sheikh questi Paesi, insieme alla Cina, sono riusciti a portare sulle proprie posizioni sia l’Unione Europea che, infine, anche gli Stati Uniti. L’Unione Europea ha giocato un ruolo centrale nello sbloccare la seconda settimana di negoziati, rilanciando con un aggiornamento delle proprie promesse di riduzione delle emissioni e avvicinandosi alla posizione dei G77”.

Nasce il fondo Loss and Damage

Nasce il fondo Loss and Damage

Emissioni in balia degli eventi

L’Unione europea ha tentato di condizionare il sì al fondo Perdite e danni con un impegno più ambizioso riguardo il raggiungimento del picco delle emissioni nel 2025, l’impegno a ridurre tutti i combustibili fossili e la richiesta di un rapporto sui progressi rispetto alla riduzione del carbone (obiettivo di Glasgow). Sospiro di sollievo perché i quasi 200 Paesi della Cop concordano almeno “di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C”, senza tornare indietro su questo obiettivo chiave come avrebbero voluto alcuni produttori di fonti fossili, come l’Arabia Saudita. La bozza riconosce che “limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C richiede riduzioni rapide, profonde e durature delle emissioni globali di gas a effetto serra… del 43% entro il 2030 rispetto al livello del 2019”. Siamo ben lontani, a livello globale, da quella cifra.

Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, nel suo messaggio di fine lavori ha infatti commentato: “Un fondo per perdite e danni è essenziale, ma non è una risposta alla crisi climatica… Non dobbiamo oltrepassare la linea rossa che porta il pianeta oltre il limite di 1,5 gradi di temperatura in più”.

 

Tutto fermo per la finanza

Neanche a Cop27 è stato l’obiettivo di riservare 100 miliardi di dollari all’anno per la finanza climatica. Nella decisione finale della Conferenza si parla di almeno 4.000 miliardi di dollari per rimanere in una traiettoria che porti a emissioni zero entro il 2050. Necessaria sarebbe “una riforma del sistema finanziario globale e delle banche multilaterali di sviluppo, ormai palesemente inadeguato alla grandezza della sfida”, precisa Bencini. La Cop ha richiesto con urgenza ai Paesi ricchi di contribuire al secondo ciclo di finanziamento del Green Climate Fund, che nel 2021 ha potuto investire la cifra record di 10,8 miliardi di dollari: somma elevata ma comunque ancora molto lontana dai bisogni reali.

 

di Daniela Faggion

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