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18 Dicembre 2023 | Attualità

Da Campi Bisenzio alle stelle, Cheops scopre sei nuovi pianeti

Progettato in Italia da Leonardo il telescopio che ha svelato un nuovo sistema planetario le cui condizioni potrebbero ospitare forme di vita, secondo gli scienziati.

È stata definita come una danza per la regolarità delle orbite e il ritmo sempre uguale. Un valzer cosmico di sei pianeti scoperto nella costellazione della Chioma di Berenice, a cento anni luce dalla Terra. La notizia è stata data dalla rivista Nature che la definisce come il risultato di un grande gioco di squadra internazionale tra decine di ricercatori e l’ausilio delle più avanzate tecnologie. Come i telescopi spaziali utilizzati per “spiare” dalla Terra questa suggestiva danza probabilmente uguale da quattro miliardi di anni.

Il ruolo dell’Italia nel progetto: il telescopio Cheops

L’Italia ha collaborato al progetto con gli osservatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica a Padova, Pino Torinese e Catania, l’Università di Padova e l’industria, con Leonardo. Il telescopio Cheops dell’Agenzia Spaziale Europea è stato progettato e costruito da Leonardo a Campi Bisenzio (Firenze). Dopo che nel 2020 il telescopio spaziale Tess della Nasa aveva visto le variazioni della luminosità della stella, dal 2022 Cheops ha cominciato a rilevare le prime misure.

E’ un telescopio molto piccolo e preciso, in grado di misurare anche piccoli pianeti che transitano davanti a stelle relativamente deboli“, ha detto uno degli autori della ricerca, l’astronomo Roberto Ragazzoni, dell’Università di Padova e direttore dell’osservatorio di Padova dell’Inaf (Istituto nazionale di astrofisica).

La scoperta

Il transito dei pianeti davanti al disco della loro stella è la tecnica che ha permesso di individuare il nuovo sistema planetario. Questo ruota intorno alla stella chiamata HD 110067, la più luminosa tra i sistemi planetari che ospitano quattro o più pianeti. Per gli astronomi si tratta di un avvenimento che consente l’accesso a una miniera di dati. Il coordinatore dello studio, Rafael Luque dell’Università di Chicago, nella conferenza stampa online organizzata da Nature ha affermato: “E’ una configurazione orbitale molto rara, nella quale le orbite sono sullo stesso piano, con un’inclinazione molto piccola: sono pianeti molto bene allineati”. Per un altro autore della ricerca, Enric Palle dell’Istituto di Astrofisica delle Canarie, “i sei pianeti non sono simili alla Terra. Probabilmente hanno un nucleo roccioso, ma non ne conosciamo la composizione. Sono probabilmente caldi, considerando che sono relativamente vicini alla loro stella”.

C’è vita?

L’ipotesi è che su questi sei pianeti possano esserci le condizioni per ospitare forme di vita. Il raggio di tutti e sei i pianeti è compreso fra quello della Terra e quello di Nettuno. Pianeti di questo tipo sono finora i più comuni fra gli oltre 5 mila finora scoperti fuori dal sistema Solare. La grande novità è che i sei pianeti “sono fra loro in risonanza, cioè hanno orbite con rapporti semplici fra loro“, ha detto Ragazzoni, e questo “fa sì che il sistema sia molto stabile. Quando si era formato era già così come lo abbiamo visto adesso“, ha aggiunto. Questa grande stabilità significa che “si avrebbero a disposizione tutti climi possibili e le possibili gradazioni di possibilità di avere la vita su alcuni di essi. Se si andasse a cercare la vita in un altro sistema planetario, si andrebbe lì“. Questo, ha detto, “non significa che ci sia alcuna evidenza che ci sia vita, ma solo che la stabilità è una delle condizioni necessarie perché si sviluppi la vita“.

Nel futuro, Plato e Ariel dopo Cheops

La ricerca va avanti con l’analisi dei dati e nuove osservazioni. Un grande aiuto è atteso dal prossimo telescopio spaziale dell’Esa, Plato, con 34 telescopi costruiti in Italia per la missione il cui lancio è previsto nel 2026. E da Ariel, il telescopio spaziale che l’Esa si prepara a lanciare nel 2029 e specializzato nell’osservare l’atmosfera dei pianti esterni al Sistema Solare.

L’abstract della ricerca pubblicata su Nature è disponibile qui.

Di Valentina Colombo.

Foto: media.inaf.it – Crediti: Esa/Nasa/G. Schwarz

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