Telepress.news intervista il professore della Bocconi Alessandro Minichilli che con Massimo Milletti, presidente onorario EricSalmon & Partners, ha verificato i risultati della legge sulle quote rosa. Brutte notizie ma anche segnali di cambiamento.
I risultati delle quote rosa
Fra le prime 50 aziende quotate in Borsa in Italia non figura nemmeno una donna Ceo. È il dato più eclatante di una ricognizione che Alessandro Minichilli e Massimo Milletti hanno effettuato per il Sole 24 Ore a 12 anni dall’entrata in vigore della legge Golfo/Mosca che nel 2012 impose le quote rosa nei CdA delle aziende. Il suo obiettivo era quello di fare da volano alle carriere femminili e, per certi versi, si può dire che ci sia riuscita, visto che le donne nei CdA italiani sono al 41%. Quando si vanno a vedere le presenze di donne nei comitati esecutivi (le stanze dei bottoni, potremmo dire) la percentuale scende bruscamente al 13,7. Cifre analoghe quando si osserva la suddivisione dei ruoli: le donne che fanno carriera svolgono per lo più ruoli funzionali specialistici e solo il 12% ricopre posizioni gestionali. E come rilevano
Business in giacca e cravatta
Il business è ancora declinato per lo più al maschile. “Le donne fanno più carriera di un tempo, ma a loro toccano soprattutto posizioni di staff, meno manageriali e ancor meno decisionali rispetto al business aziendale”, ci spiega Minichilli, professore alla Bocconi. Su questo incidono due fattori, per lo più di matrice culturale: il primo è il fatto che “le carriere operative nel business sono molto time consuming, mentre le donne (che spesso devono ancora essere prima di tutto mamme, ndr.) hanno bisogno di ruoli più gestibili dal punto di vista del work-life balance; il secondo è il pregiudizio secondo cui siano gli uomini a saper fare affari”, ma questa è chiaramente una distorsione percettiva in funzione della mancanza di donne che arrivano a poter decidere.
Superare le barriere culturali
La situazione lentamente cambia, perché cambiano i riferimenti culturali della società e certo per le nuove generazioni dovrebbe essere più semplice immaginare un business nuovo. Innanzitutto, osserva Minichilli, “l’accesso alle opportunità formative è pressoché simile (basti pensare a quante ragazze accedono a facoltà scientifiche ed economiche, prima territorio precipuamente maschile) e anche le discriminazioni economiche sono decisamente diminuite. Gli ostacoli che abbiamo rilevato sono per lo più nella generazione al comando oggi, che per giunta fa davvero fatica a passare il testimone”. Anche quelli percepiti come limiti oggettivi oggi (le donne “necessarie” per l’accudimento dei figli piccoli, ad esempio) verranno meno quasi in automatico quando cambieranno i modelli culturali. E poi ci sono i social, che nelle mani di chi li comprende e usa nel modo giusto possono contribuire a un effettivo cambio di mindset.
Intervento normativo: l’esempio francese
In attesa del cambio generazionale e del definitivo aggiornamento culturale, anche dei role model, una spinta importante potrebbe arrivare dalle normative. Come? “Da un lato consolidando politiche di welfare che facilitino l’interscambio fra padri e madri”, dice Minichilli (più congedi di paternità = più donne pronte a tornare al lavoro, ndr.); “poi servendosi di normative come la legge francese che ha imposto il 40% di donne manager nelle aziende di una certa dimensione”. In effetti, se devi rispettare un obbligo, devi anche trovare le figure per farlo e, in un ambiente favorevole, sarà meno difficile fare emergere tali figure”.
di Daniela Faggion
