Lo dice uno studio del National Bureau of Economic Research effettuato su coloro che hanno vinto il prestigioso riconoscimento dal 1950 al 2009.
Sarà che lo ricevono spesso non più giovanissimi. Sarà che dopo averlo ottenuto hanno talmente tanti impegni pubblici che hanno più tempo per tornare a studiare. Fatto sta che l’attività dei vincitori del premio Nobel – dopo il premio Nobel – conoscerebbe una pesante battuta d’arresto, o quanto meno un calo. Lo sostiene una ricerca pubblicata sul National Bureau of Economic Research da un gruppo di ricercatori di Stanford (Usa) e Waterloo (Canada).
Lo studio ha preso in esame i vincitori di Nobel premiati di 60 edizioni, tra il 1950 e il 2009, e li hanno valutati in base a tre criteri:
– gli studi pubblicati prima e dopo il premio,
– il loro tasso di innovazione,
– il numero di citazioni ottenute ad parte di altri studiosi.
I dati sui proemi Nobel sono stati poi confrontati con quelli relativi a scienziati coetanei che avevano vinto il premio Lasker, altro importante riconoscimento in medicina.
I numeri avrebbero dimostrato che i futuri premi Nobel hanno ottenuto punteggi più elevati secondo i tre criteri prima della vittoria del premio, mentre dopo fanno registrare un’inversione di tendenza, tanto da scendere allo stesso livello dei premi Lasker o addirittura a un livello inferiore.
Anche i vincitori del premio Lasker, peraltro, vedono declinare la propria produttività scientifica dopo il premio, ma in misura minore rispetto ai Nobel. Dunque, una grande soddisfazione equivale forse a una grande distrazione? Sono solo tre i premi Nobel italiani ancora in vita a cui si potrebbe chiederlo: il senatore a vita Carlo Rubbia (Premio Nobel per la Fisica nel 1984), Mario Cappecchi (Nobel per la Medicina del 2007) e Giorgio Parisi (Nobel per la Fisica 2021).
di Daniela Faggion