Internet, in generale, e le varie piattaforme, nello specifico, sono da considerasi mezzi o parti attive nella divulgazione di contenuti? La responsabilità della pubblicazione di un video o di file di qualsiasi natura è del mittente dello stesso o (anche) del veicolo utilizzato per divulgarlo? Il dibattito, fra leggi anti-pirateria online e problemi di privacy e diffamazione, è all’ordine del giorno da tempo e oggi il tribunale di Milano ha preso una posizione netta e destinata a far discutere. La condanna dei tre dirigenti di Google (David Carl Drummond, ex presidente del cda di Google Italia, George Reyes, ex membro del cda di Google Italia e Peter Fleischer, responsabile delle strategie del gruppo) a sei mesi di reclusione per violazione della privacy di un minore affetto dalla sindrome di down ha scatenato l’indignazione del colosso californiano. ” E’ un attacco ai principi fondamentali di libertà sui quali è stato costruito internet – ha detto il portavoce di Google in Italia, Marco Pancini, precisando che BigG farà appello “contro questa decisione che riteniamo a dir poco sorprendente , dal momento che i nostri colleghi non hanno avuto nulla a che fare con il video in questione, poiché non lo hanno girato, non lo hanno caricato, non lo hanno visionato” . Secondo il portavoce, dunque, i tre dirigenti sono stati dichiarati “penalmente responsabili per attività illecite commesse da terzi”. A far discutere è l’imposizione, davanti a una sentenza di questo tipo, di controllare i contenuti prima che vengano pubblicati. Ad oggi, secondo quanto stabilito da una legge Europea, i contenuti illeciti vengono rimossi dopo essere stati segnalati alla piattaforma che li contiene. Questa regola vale, ad esempio, per i video non protetti da copyright e caricati su YouTube, che vengono oscurati dopo poche ore. ” Questo meccanismo di segnalazione e rimozione avrebbe contribuito a far fiorire la creatività e la libertà di espressione in rete proteggendo al contempo la privacy di ognuno” , si legge in una nota di Peter Fleischer, uno dei condannati. Il tribunale di Milano sposa invece a una linea di pensiero, sempre più diffusa, secondo la quale la produzione incontrollata (a priori) degli utenti di contenuti in rete va arginata. ” Se siti come Blogger o YouTube sono ritenuti responsabili di un attento controllo di ogni singolo contenuto caricato sulle loro piattaforme – ogni singolo testo, foto, file o video – il web come lo conosciamo cesserà di esistere, e molti dei benefici economici, sociali, politici e tecnologici ad esso connessi potrebbero sparire “, ha concluso Fleischer.
Google ricorre in appello

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