Il 66esimo Congresso mondiale dell’editoria si è chiuso poche ore fa a Torino con l’intervento di Carlo De Benedetti, presidente del Gruppo Espresso, che si è scagliato contro gli aggregatori web di notizie e i motori di ricerca online , accusati di guadagnare sul lavoro dei giornalisti senza dare nulla in cambio agli editori. “Continueremo a fare il nostro lavoro” , ha tuonato De Benedetti contro “ciarlatani e impostori” . L’obiettivo principale degli strali è, non c’è bisogno di specificarlo, Google : “Google fa paura – ha proseguito il patron de L’Espresso – . Non a me, ma a tutti. Alla resa dei conti stiamo assistendo impotenti alla sostituzione di un’imperfetta democrazia analogica con una perfetta oligarchia digitale” . La sfiducia di De Benedetti verso la portata innovatrice e comunitaria della rete è nota ai più, ma ora l’imprenditore propone una soluzione (parziale) al conflitto tra Google e prodotti giornalistici. L’idea è quella di arttuare “una separazione di proprietà o una separazione funzionale delle attività di general search da quelle dei servizi di ricerca specializzati” , news comprese. Questa soluzione potrebbe essere raggiunta “proibendo l’uso dei dati raccolti tramite un servizio (Google News, ad esempio) a beneficio di un altro serivzio della società (le normali ricerche su BigG)” . Da Torino arriva però anche una richiesta di cooperazione tra editori, per formare un fronte unito contro i meccanismi pervasivi del web : “Non c’è gruppo editoriale che possa reggere il confronto con Google – ha detto De Benedetti – . Perché Google e le poche società analoghe che operano nel mondo non sono soggetti ad alcun tipo di regola” . Il futuro, però, non può prescindere da un dialogo con il mezzo digitale: internet è già qui, funzionante e definitivo, il giornalismo dovrà reinventarsi. Magari con l’aiutio delle istituzioni.
Google spauracchio degli editori

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