Secondo una ricerca di LHH in tre aziende italiane su quattro la parità di genere e di accesso alle opportunità di carriera non è realizzata nei fatti
Dopo il greenwashing in materia di sostenibilità, si parla di pinkwashing in materia di equità e parità di genere: quello nei contesti aziendali italiani, in particolare, è divenuto oggetto di una ricerca targata LHH, una società del Gruppo Adecco specializzata nelle risorse umane e nella loro valorizzazione attraverso percorsi mirati. Quello che è emerso è in linea con i dati più istituzionali rispetto alla condizione delle donne nel mondo del lavoro, per le quali la parità di condizioni (per carriera e stipendio) grazie allo sfondamento del cosiddetto “soffitto di cristallo” è ancora una meta lontana da raggiungere.
Nonostante alla stragrande maggioranza dei dipendenti (84%) non importi nulla del genere del proprio manager e importi invece solo delle sue competenze, in oltre la metà (58%) delle aziende italiane mancano azioni che favoriscano l’accesso delle donne a ruoli apicali e nell’80% delle attività le donne nella C-suite (che possiamo tradurre con “la stanza dei bottoni”, “la plancia di comando” o “il tavolo dei decisori”) sono meno della metà dei colleghi uomini.
Emerge inoltre poca coerenza tra comunicazione aziendale esterna e le attività davvero realizzate all’interno per favorire le pari opportunità di genere e l’accesso delle colleghe ai vertici. Si tratta di una questione di Pinkwashing che riguarda 3 aziende italiane su 4 (75%): una situazione particolarmente sentita più dalle donne (81%) rispetto ai colleghi, i quali sono meno interessati al tema (22%) o pensano addirittura che non esista (22%).
Il percepito sul tema dell’uguaglianza di genere varia sia in base al ruolo ricoperto dagli intervistati, sia alle dimensioni dell’azienda per la quale lavorano. Nello specifico: dirigenti, manager e quadri hanno un approccio più positivo quando si parla di equità; aziende più grandi si aspettano che siano previsti programmi inclusivi; per contro, il 72% di chi pensa che non ci siano politiche per favorire l’accesso delle donne a ruoli apicali non gestisce un team. Da questo si deduce che nel momento in cui l’organizzazione prevede azioni di inclusività di genere, queste non vengono recepite da tutta la famiglia aziendale, la comunicazione di tali policy pare non raggiungere tutti i livelli della gerarchia.
I dirigenti italiani si dichiarano consapevoli dei vantaggi che derivano dall’attuare la parità di genere: a esempio, sanno che prospettive diverse stimolano nuove idee (54%), che un pool di tipologie di talenti variegato favorisce empatia (49%) e che l’inclusività tende a evitare turn over di talenti (40%). Al tempo stesso, in oltre un’azienda su 4 (27%) si percepisce un ambiente poco collaborativo, con ristretta flessibilità oraria (27%) e senza un’effettiva apertura a programmi di smartworking (25%).
Quest’ultimo aspetto, che si traduce in una mancanza di equilibrio tra vita privata e lavorativa, è maggiormente sentito dalle donne (29% vs 11% dei colleghi), più attente a queste tipologie di “benefit” che spesso consentono loro di occuparsi sia della propria carriera che dei propri cari.
di Daniela Faggion