L’Egitto è in preda a rigurgiti dittatoriali, con l’esercito che spara sui manifestanti in protesta contro la censura a internet e le libertà negate dal governo. La primavera araba aveva trovato la miccia in Egitto, nove mesi fa, con internet a fare da grancassa per i tumulti contro il dominio di Mubarak. Ora la rete torna protagonista, per raccontare le violenze subite dai manifestanti, su cui vengono sparati proiettili al gas nervino: Twitter e Facebook tracimano di racconti e fotografie di violenze, abusi fisici e psicologici sulle persone arrestate al Cairo e nelle altre città del paese. Blogger e giornalisti sono nel mirino della polizia. Vengono fermati, reclusi e interrogati per ore, come capitato a Mona El-Tahawy, salva- ta solo dalla sua doppia cittadinanza, egiziana e americana. Dai social network, la sua storia è arrivata alla Bbc. Tra gli arrestati anche Bothaina Kamel, candidata alle prossime presidenziali. Decine di vittime e circa duemila feriti in meno di una settimana. Un bilancio da guerra civile con cui l’Egitto scosso da nuove rivolte popolari deve fare i conti. L’esercito ha risposto con la forza alle proteste contro le censure al web e le limitazioni illiberali imposte dal governo militare. Il governo Sharaf si è già dimesso, promettendo elezioni entro la primavera. Ma l’impressione è che sui giornali internazionali si sia gridato alla democrazia troppo presto: non basta internet per cambiare una cultura, non è sufficiente Facebook per garantire libertà e diritti umani. Alla forma vanno aggiunti i contenuti. E in Egitto quelli post-rivoluzionari sono identici a quelli del regime di Mubarak. Web o non web.
Il web non fa primavera

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