L’età per la pensione di vecchiaia arriverà a 70 anni nel 2067, ma al momento la nostra vita lavorativa è tra le più brevi d’Europa
In Italia si lavora meno che nel resto d’Europa, ma si va in pensione più tardi. È questo il paradosso che emerge dai dati di Eurostat e della Ragioneria Generale dello Stato, che fotografano una realtà difficile da ignorare: mentre l’età pensionabile continua a salire, la vita lavorativa media degli italiani resta tra le più corte dell’Unione europea. Lo ha messo in evidenza Il Sole 24 Ore, ripreso anche dal Corriere della Sera.
Oggi l’età per la pensione di vecchiaia è fissata a 67 anni, ma secondo le previsioni salirà progressivamente: 68 anni e 11 mesi nel 2050, fino ad arrivare a 70 anni nel 2067. Nonostante ciò, la durata effettiva della carriera lavorativa nel nostro Paese si ferma a 32,8 anni, contro una media europea di 37,2. Peggio di noi solo la Romania.
La prima ragione di questa contraddizione è l’ingresso tardivo nel mondo del lavoro. In Italia si studia più a lungo, ma soprattutto si impiega più tempo a trovare un impiego stabile. Molti giovani, dopo la laurea, affrontano periodi di stage, tirocini e contratti a termine che non sempre garantiscono contributi pieni. Ogni pausa, ogni cambiamento, ogni mese “vuoto” pesa poi sul conto degli anni di lavoro effettivi.
In più, il lavoro nero e irregolare, ancora diffuso in molte zone del Paese, riduce ulteriormente la durata ufficiale delle carriere. Si calcola che l’economia sommersa coinvolga oltre tre milioni di persone e valga quasi il 9% del PIL nazionale. Tutti questi anni “non registrati” si traducono in contributi mancanti e pensioni più leggere.
Il ritardo è ancora più evidente per le donne. In Italia, infatti, la durata media della vita lavorativa femminile è di 28,2 anni, il dato più basso d’Europa, e ben nove anni in meno rispetto agli uomini. In altri Paesi, come Estonia o Lettonia, le differenze di genere quasi non esistono. Le difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia, i periodi di interruzione e la scarsa presenza di servizi per l’infanzia continuano a pesare sulle carriere femminili, rendendo il divario ancora più marcato.
Un altro tassello del paradosso italiano viene dal passato. Negli anni Ottanta e Novanta, migliaia di lavoratori andarono in pensione con pochissimi anni di contributi: i cosiddetti “baby pensionati”, che in molti casi percepiscono l’assegno da oltre quarant’anni. Anche oggi, nonostante l’età pensionabile più alta d’Europa, le uscite anticipate restano numerose, grazie alle varie “Quote” e scivoli previsti dalle leggi di questi anni. Il risultato è che il sistema previdenziale si trova a sostenere più pensioni per più tempo, con una base contributiva sempre più fragile.
In sintesi, la combinazione di ingresso tardivo, carriere discontinue, lavoro irregolare e pensionamenti anticipati spiega perché, nonostante la soglia d’uscita si alzi, la vita lavorativa degli italiani resti tra le più brevi d’Europa. Un giovane di oggi rischia di lavorare poco più di trent’anni e di andare in pensione solo a settanta. Meno anni di contributi, pensioni più leggere, e un equilibrio sempre più difficile da mantenere per lo Stato.

