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21 Luglio 2008 | Economia

Intercettazioni: mancato controllo di Telecom e Pirelli

E’ stato il mancato controllo da parte di Telecom e di Pirelli a rendere possibile la commissione di reato da parte di Giuliano Tavaroli e Pierguido Iezzi. E’ quanto si legge nel provvedimento di chiusura delle indagini nei confronti di 34 indagati nella vicenda delle intercettazioni. I due gruppi hanno annunciato l’intenzione di volersi costituire parte civile nel procedimento. Per tutti, le accuse a vario titolo sono di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali, rivelazione del segreto di stato, appropriazione indebita, falso, accesso abusivo a sistemi informatici, favoreggiamento e reciclaggio. Telecom e Pirelli sono invece iscritte nel registro degli indagati ai sensi della legge 231 sulla responsabilita’ oggettiva delle persone giuridiche. Resta invece aperto per “ulteriori verifiche” il filone aperto dalla procura di Milano su presunte corruzioni all’estero, nell’ambito dell’inchiesta sulla raccolta illecita di informazioni riservate da parte di ex-manager di Telecom Italia. L’avviso di chiusura indagini per Telecom ipotizza che il gruppo “non avendo predisposto prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, essendo stato adottato un modello organizzativo al fine di prevenire la commissione di reati solo nel maggio 2003 e comunque, dal momento dell’adozione, non avendo efficacemente attuato e o avendo adeguatamente vigilato sulla osservanza dello stesso, rendeva possibile che Giuliano Tavaroli commettesse, nell’interesse della società, i reati”. Un’analoga formula è utilizzata per Pirelli, con l’aggiunta che quest’ultima non aveva adeguatamente vigilato su Tavaroli e anche su Pierguido Iezzi, responsabile della Direzione security Pirelli. L’inchiesta, condotta dai pm Nicola Piacente, Fabio Napoleone e Stefano Civardi, partita oltre due anni fa, ha portato all’arresto, fra gli altri, dello stesso Tavaroli , dell’ex numero due del Sismi Marco Mancini e dell’investigatore privato Emanuele Cipriani, oltre ad una serie di tecnici informatici. Tavaroli , considerato il principale indagato nell’inchiesta, in un’intervista pubblicata oggi da Repubblica ha detto che non accetterà mai “di essere il capro espiatorio di questo affare”. “Io vorrò con tutte le mie forze il processo e nel processo vorrò vederli in faccia ripetere quel che hanno riferito ai magistrati. Il mio vantaggio è che tutti hanno mentito in questa storia, e io sono in grado di dimostrare che le informazioni che ho raccolto sono state distribuite in azienda perché commissionate dall’azienda e nel suo interesse”. Nell’intervista, Tavaroli parla di incontri con diversi personaggi importanti, tra cui l’ad di Eni Paolo Scaroni, che oggi però ha smentito di averlo mai conosciuto. L’ex-capo della security parla anche di un “disequilibrio informativo” tra Telecom e una lobby di potere (composta da uomini politici e d’affari) e che per affrontarlo occorreva “coraggio”, cosa che, dice Tavaroli, mancava a Tronchetti Provera. “Non decide mai. Non se la sentiva di attaccare frontalmente, magari pubblicamente, quel network né voleva sporcarsi le mani, cioè entrando nel club pagandone il prezzo in opacità, ma incassando i vantaggi lobbistici. Non prende posizione, non si compromette né in un senso, né nell’altro. Per questo quella compagnia lo scarica”, dice Tavaroli di Tronchetti. “(…) E’ su questa zona di confine che mi dicono di ‘ballare’. E io ballo. Me ne ha dato atto, quando mi ha liquidato, anche Tronchetti. Mi ha detto papale papale: ‘forse le abbiamo chiesto troppo’”. Ieri, la Stampa ha pubblicato stralci di alcuni verbali di interrogatori di Tavaroli, nei quali l’ex-manager spiega che i suoi colloqui con Tronchetti Provera duravano sempre pochi minuti e che lui metteva al corrente il presidente di Pirelli solo “delle vicende più rilevanti senza per altro fare alcun riferimento alle modalità con cui ero venuto in possesso delle mie fonti”.    

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