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20 Febbraio 2009 | Attualità

Jade Goody, la vita nel reality: appaio dunque sono

Sembra giunta a una delle puntate finali la triste saga di Jade Goody , ex concorrente del Grande Fratello inglese che, dopo essere stata accusata di razzismo durante la sua partecipazione al famoso reality show, e dopo aver appreso in diretta tv del male incurabile che l’avrebbe uccisa in pochi mesi, ha deciso di vendere in esclusiva i diritti televisivi del proprio matrimonio con il compagno Jack Tweed , attualmente detenuto per aver aggredito un minorenne. Le polemiche riguardo le molteplici vicende che interessano la 27enne ragazza inglese, da mesi riempiono le pagine di cronaca dei tabloid inglesi ed europei: Jade Goody dice di voler sfruttare la sua sfortunata condizione, e la sua sovraesposizione mediatica , per garantire il sostentamento dei due figli, di 4 e 5 anni, avuti da una precedente relazione.  Da qui la decisione di vivere le sue ultime settimane di vita sempre sotto i riflettori, cercando di guadagnare il più possibile dalla cessione a giornali e tv dei diritti per interviste ed eventi. La sua vicenda ha così assunto la portata di uno psico-dramma nazionale che coinvolge vescovi ed ex-fidanzati, amici e conoscenti, fino al Primo Ministro Gordon Brown : ognuno recita il proprio ruolo, apporta il suo personale tassello alla storia con dichiarazioni di solidarietà, donazioni all’associazione contro il cancro promossa dalla stessa Goody, sempre in diretta, sempre tramite i media. Sono proprio i media i veri protagonisti : sempre presenti, onnivori, alla continua ricerca di particolari, chiaramente assecondati dai diversi personaggi della storia. Tanto che, col tempo, si fatica a capire chi si serve di chi, in un circolo vizioso che accalappia sempre più lettori e telespettatori. Su Jade Goddy sono stati scritti centinaia di articoli, è stato girato un documentario a puntate,  sono stati fatti approfondimenti televisivi. Il trionfo dell’immagine sul corpo, del simbolo sul contenuto, come sempre più spesso accade : verrebbe da chiedersi il senso di questo turbine mediatico inestinguibile, anche se forse è più importante individuare gli effetti di questa supremazia dell’apparire, tra interessi più o meno nobili. Sembra ormai definitivamente compiuto il ribaltamento tra esistenza da reality e vita reale: appaio dunque sono , la certificazione della persona, la sua validazione, determinata esclusivamente dalla presenza o meno di una sua immagine pubblica, qualunque essa sia. Il qualunquismo mediatico sembra essere il grosso pericolo messo in luce da questa vicenda: se tutto è informazione, niente è informazione , e lo spettacolo ha la meglio sempre e comunque, annullando ogni scala di valore,  trasformando definitivamente tv e giornali in mezzi di distrazione di massa. E, mentre il confine tra pubblico e privato si assottiglia sempre più, mentre si dibatte sull’insostenibile leggerezza dell’essere televisivo, si perdono di vista problematiche economiche e sociali, storie davvero importanti e collettive, sprofondando in un dolore spettacolarizzato e perciò annacquato. Si finisce per non distinguere più, insomma, realtà e finzione.

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