Dal 20 settembre 2023 al 21 gennaio 2024, Palazzo Reale a Milano ospita JIMMY NELSON. Humanity, una mostra fotografica, promossa da Comune Milano – Cultura, prodotta da Palazzo Reale e Skira Editore, in collaborazione con la Jimmy Nelson Foundation, curata da Nicolas Ballario e Federica Crivellaro.
Viviamo in un’epoca in cui ci sono circa 5 miliardi di cellulari e viene stimato che ogni anno vengono eseguite oltre mille miliardi di scatti e in un minuto, ovvero vengono scattate più fotografie che nei primi secoli di esistenza di questa pratica. In questo contesto che ruolo ha il fotoreporter per la società? Del fotografo che vuole documentare viaggi o esperienze particolarmente esotiche o semplicemente matrimoni ce ne facciamo ancora qualcosa? Nell’era della fotografia, la figura del fotografo sta scomparendo? Con questa riflessione il giornalista Nicolas Ballario, esperto di arte contemporanea applicata ai media, apre il suo commento al lavoro Jimmy Nelson esposto fino al 21 gennaio a Palazzo Reale. Pone la domanda acuta e scomoda, ma fornisce anche una risposta durante la conferenza stampa di presentazione della mostra fotografica. Il fotoreporter, secondo Ballario, non è finito o spacciato ma sceglie la trasformazione ovvero sceglie, come ha fatto in questo lavoro Jimmy Nelson, di dare alla sue foto un contributo autoriale, un segno distintivo, una ricerca personale.
Masai, Sarbore, Serengeti, Tanzania, 2010 © Jimmy Nelson
In effetti è così nelle 65 fotografie di grandi dimensioni (2×3 metri) appartenenti ai cicli più famosi della produzione di Nelson, emerge chiaramente la sua cifra stilistica. Non appaino semplici immagini ma quasi set cinematografici che richiamano all’interno della scena l’osservatore. Nulla è lasciato al caso, tutti i particolari sono curati come il set di un grande film epocale. Nessuno scatto è rubato, nessun attimo è fuggente. Non sono stralci di vita delle popolazioni indigene, il racconto dei loro usi e costumi, ma sono immagini evocative quasi epiche per non dire in alcune pose neoclassiche. E’ come questi popoli si vogliono rivedere, mostrare e consegnare alla Storia. Sono foto che l’autore ha costruito con queste popolazioni non su di loro come afferma Ballario “Jimmy Nelson scanza la retorica del ritratto rubato e ci accompagna nell’ottica evocativa e paradigmatica, perchè alla base di queste immagini non c’è il senso della scoperta ma quello ancora più profondo del dialogo”. Del dialogo con le popolazioni indigene che da sempre hanno affascinato Jimmy Nelson, abituato per storia familiare a viaggiare fin da piccolissimi e incontrarsi con popolazioni profondamente differenti da quelle occidentali.
Con le sue fotografie, Jimmy Nelson celebra la diversità culturale incontrata nei suoi viaggi a contatto con le miriadi di comunità della Papua Occidentale, del Tibet, dell’Africa, della Siberia, del Bhutan o di altre zone del pianeta, e invita lo spettatore a vedere il mondo attraverso una diversa prospettiva, incoraggiandolo ad accogliere e ad apprezzare la bellezza intrinseca di tutti come parte integrante della grande famiglia umana.
“Per tutta la vita, sono stato spinto da una curiosità insaziabile e da una passione inarrestabile per esplorare il mondo. Come fotografo il mio viaggio ruota attorno al soggetto delle mie opere d’arte: i popoli indigeni. Radicato in un profondo senso di empatia il mio lavoro mira a connettermi con persone di diverse culture e a ispirare gli altri ad abbracciare la bellezza dell’umanità riconoscendo che siamo tutti un solo popolo”. Spiega il fotografo riassumendo il senso profondo delle immagini in mostra.

Jimmy Nelson with the Huli Wigmen © Jimmy Nelson
Un altro aspetto particolarmente interessante e che caratterizza la sua cifra stilistica è il tipo di strumento che utilizza per scattare. Nelson infatti non lavora con il digitale ma porta sul campo una fotocamera analogica di grande formato (10 X 8) perchè garantisce un’altissima qualità all’immagine e una buonissima risoluzione. Con questo strumento tuttavia non è possibile vedere immediatamente come è venuta la foto. Ecco che allora il gesto dello scatto si carica di un peso particolare, specifico perchè la macchina fotografica è grande, pesante e di difficile trasporto e valoriale perché il momento è unico.
E’ previsto un tempo per verificare il risultato. Si vedrà dopo se la foto è venuta bene, quindi questo approccio lento e ponderato, questo peso della fotocamera costringe l’artista all’estrema cura di quell’istante di scatto, a immergersi completamente nel momento stabilendo un legame autentico con i soggetti. Inoltre il maneggiare la pellicola, sviluppare i negativi e la creazione delle stampe aggiungono un elemento tattile al processo creativo.

Kazakh, Altantsogts, Bayan,-Olgii, Mongolia © Jimmy Nelson
di Sara Giudice