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30 Marzo 2023 | Attualità

La cucina italiana candidata all’Unesco è già travolta dalle polemiche

Il Governo Meloni ha proposto che la tradizione culinaria nazionale venga inserita nella lista dei patrimoni culturali immateriali. Un professore di Parma, però, sostiene che molte delle tradizioni siano solo invenzioni recenti, passate anche dagli Stati Uniti.

Quale tradizione?

Mentre a livello europeo si apre all’uso alimentare di grilli, tarme e locuste, il governo italiano ha deciso di candidare la tradizionale pratica culinaria italiana nella lista rappresentativa dei patrimoni culturali immateriali dell’Unesco per il 2023. La proposta è partita dal ministro dell’Agricoltura e sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, e dal suo collega alla Cultura, Gennaro Sangiuliano, ma già incontra qualche ostacolo entro gli stessi confini nazionali.

Candidatura e stroncatura

Il professor Alberto Grandi, che a Parma insegna Storia delle imprese, Storia dell’integrazione europea ed è autore del podcast “Doi, Denominazione di origine inventata”, ha scatenato un putiferio in merito, dopo un’intervista al Financial Times in cui sostiene fondamentalmente due cose, non proprio facili da digerire: la prima è che la storia e le testimonianze dell’immediato dopoguerra raccontino chiaramente come appena 70/80 anni fa la cosiddetta “tradizione culinaria italiana” non fosse affatto nota a livello nazionale, ma che sia piuttosto divenuta tale soprattutto grazie all’emigrazione negli Stati Uniti, che ha cristallizzato alcune ricette e alcune pratiche alimentari di certe zone, ignote al resto del Paese prima del boom economico; la seconda è che il cibo sia uno dei tanti elementi su cui si inventano le “tradizioni” – che tali, appunto, non sono – per creare un collante identitario laddove manchi.

Coldiretti si arrabbia, ma i nonni confermano

Durissima la risposta di Coldiretti, che aveva invece dato il suo plauso al dossier trasmesso dal ministero degli Esteri all’Unesco: “attacco surreale” e “ricostruzioni fantasiose” dichiara l’associazione di agricoltori, che aveva accolto la candidatura al riconoscimento della cucina italiana a patrimonio dell’umanità come “una tutela contro l’omologazione, da cibi sintetici a quelli a base insetti”. Eppure, il professor Grandi motiva con grande dovizia di dettagli le sue tesi, che non sono né nuove, né stilate per l’occasione. La lunga intervista del quotidiano britannico al professore di Parma è inoltre condotta da una giornalista italiana, Marianna Giusti, che a sua volta trova prove a supporto delle teorie accademiche intervistando la nonna e altri anziani conoscenti: tutti d’accordo che, fino almeno agli anni Sessanta, di certi alimenti oggi ritenuti di “tradizione condivisa” (come la mozzarella o la carbonara, ad esempio) non avevano mai sentito parlare.

Valutazione del dossier entro fine 2025

Comunque sia, il dossier a supporto della candidatura dovrebbe concludere il suo iter di valutazione al massimo entro la fine del 2025. Nel documento governativo la cucina italiana viene definita come “un insieme di pratiche sociali, riti e gestualità basate su tanti saperi locali”. Tra i primi promotori della candidatura della cucina italiana come patrimonio Unesco c’è Federcuochi, secondo cui l’iniziativa “darà ancora più lustro alla cultura enogastronomica italiana e alla dieta mediterranea, universalmente riconosciuta come lo stile di vita più sano al mondo”. Ammesso che esista.

di Daniela Faggion

Un piatto di spaghetti alla Carbonara

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