A Milano, negli spazi di un ufficio dismesso presso l’innovativo BiM, va in scena “Abbandonare il locale”. Oltre 20 opere indagano i limiti di tempo e spazio e danno una lettura nuova dell’etica e dell’estetica del posto di lavoro.
Nella 28esima edizione di miart, la fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea organizzata a Milano, è stata inaugurata la prima grande mostra personale in Italia dedicata a David Horvitz. “Abbandonare il locale” è il titolo dell’esposizione curata da Nicola Ricciardi, direttore artistico di miart, e realizzata in collaborazione con BiM (Dove Bicocca incontra Milano), fino al 30 giugno 2024 in viale dell’Innovazione 3.
BiM, lo spazio che ospita la mostra
La mostra “Abbandonare il locale” è visitabile negli spazi di un ufficio dismesso presso BiM, l’ambizioso progetto di rigenerazione urbana nel distretto Bicocca. L’edificio che porta la firma dell’architetto Vittorio Gregotti si sta trasformando in uno spazio per uffici all’avanguardia. Un luogo di lavoro non convenzionale, dall’anima verde, etico e inclusivo, che punta ad essere sempre più punto di incontro e networking dove coesistono funzionalità e comfort, servizi per il business e spazi dedicati alla cultura e alla socialità. Partner della mostra sono inoltre la galleria ChertLüdde di Berlino, Variant3D e il laboratorio Specific che ne ha curato l’allestimento e l’illuminazione.
Il percorso espositivo
Ricciardi ha selezionato con Horvitz oltre 20 opere che ripercorrono altrettanti anni di carriera. La mostra nasce dalla volontà di dare una forma tangibile all’espressione no time no space. Tema e titolo scelto anche per l’ultima edizione di miart.
I lavori di Horvitz qui raccolti provano a complicare e sovvertire l’idea standardizzata di tempo, come nel caso dell’orologio di “A clock whose seconds are synchronized with your heartbeat” (2020), o della performance “Evidence of time travel” (2014), per la quale l’artista ha vissuto in Europa regolando la propria vita sul fuso orario della California.
L’idea è anche quella di scardinare confini e limiti spaziali, aprendo varchi verso nuove dimensioni: come in “For Kiyoko” (2017), in cui Horvitz fotografa le stelle che immaginava sua nonna guardasse 75 anni prima dal campo di internamento giapponese in Colorado in cui era stata rinchiusa, oppure nell’installazione “The Distance of a Day” (2013), in cui l’artista espone due video realizzati contemporaneamente da lui e da sua madre in California e alle Maldive, uno al sorgere e uno al tramontare del sole nella stessa giornata.
Nella mostra si alternano lavori storici con nuove produzioni e oggetti trovati. “Abbandonare il locale” offre inoltre una lettura non convenzionale dell’etica e dell’estetica del posto di lavoro, piena di immaginari alternativi e possibili vie d’uscita. Ne sono un esempio le bottigliette di plastica di “Imagined Clouds (Milan)” 2024, che nel contesto in cui si trovano possono sembrare rifiuti abbandonati dopo una giornata di lavoro, ma che in realtà offrono una riflessione sull’acqua come metafora dell’evasione, poiché passa dappertutto, non ha limiti e confini. Oppure il progetto “Mood disorder” (2012), un autoscatto realizzato da Horvitz mentre simula uno stato di depressione e che l’artista ha caricato sulla pagina di Wikipedia dedicata ai disturbi dell’umore.
L’artista
Nato a Los Angeles, dove vive e lavora, Horvitz utilizza una disparità di media – dalla fotografia alla performance, dai libri d’artista al suono, dalla gastronomia alla mail art – per riflettere sulla nostra comune idea di distanza tra luoghi, tempi e persone e per testare le possibilità di appropriarsi, indebolire o cancellare queste distanze. Le sue opere sono state esposte in tutto il mondo, dal New Museum di New York al Palais de Tokyo di Parigi, e sono oggi presenti in alcune delle più prestigiose collezioni museali, dal LACMA di Los Angeles al MoMA di New York.
Di Valentina Colombo