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5 Ottobre 2023 | Attualità, Economia

Lavoro in Italia: il tasso di occupazione sale ma aumenta l’insoddisfazione

Gli ultimi dati Istat e Eurostat parlano chiaro. In Italia il tasso di occupazione sale e la disoccupazione si riduce. Di contro aumenta l’insoddisfazione tra i lavoratori  

L’occupazione ad agosto 2023 è al 61,5% e rispetto ad agosto 2022 si registra un aumento di 523mila unità (+2,3%), sulla spinta dei dipendenti permanenti (+3,7%, pari a +550mila). Come ha comunicato l’Istatconfrontando il trimestre giugno-agosto 2023 con quello precedente (marzo-maggio 2023), si registra un aumento del livello di occupazione pari allo 0,5%, per un totale di 129mila occupati. Contestualmente, seppur di poco, si riduce la disoccupazione. Nell’Ue come nell’eurozona il tasso dei senza lavoro registra un andamento discendente. L’Italia, insieme a Francia e Spagna, ha tassi superiori alla media, per quanto in flessione, e numeri assoluti tra i più alti. I dati diffusi da Eurostat e relativi al mese di agosto vedono un calo di 0,1 punto percentuali nel tasso disoccupazione sia nell’Ue a 27 (5,9%, -112mila unità) sia nell’Ue a 20 (6,4%, -107mila unità). L’Italia vede un indice più alto di quasi un punto percentuale rispetto alla media dell’Eurozona (7,3%), e risulta, insieme alla Francia, il quarto Paese per tasso di disoccupazione dopo Spagna (11,5%), Grecia (10,9%) ed Estonia (7,6%).

La ricerca del Politecnico di Milano

Se occupazione e disoccupazione fanno registrare dati incoraggianti per il futuro dell’economia del lavoro in Italia, negli ultimi 12 mesi il 46% dei lavoratori ha cambiato lavoro o ha intenzione di farlo. Una percentuale che raggiunge il 77% per gli under 27. E il 55% di chi dice di voler cambiare lavoro sta già facendo colloqui. Appena l’11% sta bene rispetto a tutte e tre le dimensioni del benessere lavorativo: psicologico, relazionale e fisico. In generale, c’è un malessere diffuso, che ha portato il 42% dei lavoratori ad assentarsi nell’ultimo anno. A dirlo è la ricerca 2023 dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano che ha coinvolto ottocento rispondenti. Secondo la ricerca in Italia ci sono 2,3 milioni di quiet quitter che fanno il minimo indispensabile, mentre 1,1 milioni sono job creeper, quelli che non riescono a smettere mai di lavorare. Solo il 7% dichiara di essere felice.

La ricerca di Gallup

Anche l’ultimo report Gallup State of the Global Workplace2023, società americana di analisi sullo stato globale del mondo del lavoro, registra che gli italiani sono sottopagati e mobbizzati (e, appunto i più infelici in Europa). Quasi 30 su 100 provano un’intensa sofferenza, ma restano incerti sulle chances di cambiamento. Reinventarsi è impossibile. Ne sono convinti soprattutto i quarentenni e cinquantenni. Un’altra parte di italiani, invece, ha mollato. Dopo la pandemia abbiamo assistito al fenomeno globale delle dimissioni di massa. Nel 2022 – fonte Ministero del Lavoro – quasi 2 milioni di lavoratori hanno cambiato impiego. Il report Gallup ha evidenziato un netto declino delle considerazioni che i lavoratori italiani hanno rispetto alla loro mansione e una generale rassegnazione. È stato stimato infatti che le persone sono “tristi senza essere arrabbiate e stressate senza avere grandi prospettive di cambiamento”.

La ricaduta su aspetti umani

La ricerca di Gallup mostra un allarme su aspetti di natura umana. Il report ha raccolto e confrontato i dati sui dipendenti di 38 Paesi, delineando un quadro generale delle condizioni di ciascuna nazione. I risultati dello studio dicono che peggio dell’Italia c’è solo Cipro nord, che ha un solo punto percentuale in più per quanto riguarda i lavoratori intensamente tristi durante la loro giornata (il 28% contro il 27% in Italia). L’elemento della ricerca che fa riflettere in modo particolare è sicuramente il bassissimo livello di coinvolgimento dei lavoratori nelle proprie attività quotidiane. Solo il 5% dei dipendenti sente di essere appagato lavorando e crede (o spera) che la mansione che svolge sia quella in cui rimarrà anche in futuro. Percentuale ancora più preoccupante rispetto alla media europea che è quasi il triplo (13%), mentre quella globale arriva addirittura al 23%.

La ricaduta sul PIL

E non è solo un tema individuale: all’economia italiana il cosiddetto disengagement da parte dei lavoratori costa 273 miliardi di euro l’anno, corrispondenti a circa il 13% del Pil del Paese. Secondo il report Gallup nel 46% degli intervistati (il 7% in più rispetto alla media europea) è lo stress la principale ragione del malcontento di un lavoratore italiano medio. Nonostante le percentuali del livello di rabbia siano relativamente basse (con il 16%), sembra che il mondo del lavoro si sia rassegnato a dover vivere un basso grado di felicità e di coinvolgimento rispetto alle proprie professioni, come se il lavoro fosse una costrizione senza alcun tipo di appagamento.

di Luisa D’Elia

 

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