Non esiste In Italia una legge in Italia che vieta la chiusura dei delfinari. Luoghi dove i socievoli cetacei invece che vivere liberi in mare aperto nuotano in vasche di dimensioni nettamente diverse rispetto al loro habitat naturale e anche se ben nutriti e ben curati devono vivere in funzione delle esigenze ludiche dei visitatori.
Tuttavia nel tempo precisamente negli ultimi quindici anni nel nostro Paese si è passati da cinque delfini a tre, e questo perché nel tempo le diverse norme pur non imponendo la chiusura hanno alzato progressivamente l’asticella per il mantenimento di questi luoghi. Per esempio aumentando i requisiti strutturali delle vasche, i parametri di benessere, gli obblighi veterinari, costi di gestione e adeguamento e aumentando progressivamente anche le sanzioni per il mancato adempimento.
In sintesi il mantenimento di un delfinario oggi costa molto di più e richiede standard che molte strutture storiche non sono più in grado di sostenere. Da qui la chiusura dei delfinari di Rimini, Fasano, e Gardaland. Sicuramente ha contributo anche l’attività degli animalisti che hanno generato pressione mediatica, politica e giudiziaria rendendo ancora più difficile la sopravvivenza delle strutture marginali.
Ma i delfini di queste struttura dove vanno e soprattutto come fanno a essere riabilitati al mare aperto? Qui entra in gioco il San Paolo Dolphin Refuge, un’area di sette ettari alle spalle dell’Isola di San Paolo la più piccola delle Cheradi, davanti a Taranto. Il rifugio, pronto entro il 2026, punta a ospitare fino a diciassette cetacei. I primi quattro arriveranno a giugno. È il secondo centro del genere al mondo.
La vasca principale misura 40×40 metri e raggiunge gli otto metri di profondità. A essa si aggiunge una vasca veterinaria, una sala controllo equipaggiata con sensori marini, telecamere, sistemi di monitoraggio della qualità dell’acqua, e infrastrutture per stoccaggio e preparazione del cibo.
Il progetto è promosso da Jonian Dolphin Conservation (JDC), con il sostegno della Fondazione con il Sud e delle istituzioni locali. L’investimento complessivo è di circa 2 milioni di euro. Il rifugio si integra con il centro scientifico-divulgativo Centro Ketos, già attivo a Palazzo Amati a Taranto
L’obiettivo dichiarato è restituire ai delfini, ora in cattività, una dimensione vicina al loro ambiente naturale per introdurli gradualmente alle acque libere. I cetacei ospitati — provenienti da parchi acquatici o centri di ricerca che chiudono — avranno un periodo di riadattamento al mare, sotto osservazione continua. Il programma coinvolge esperti italiani e internazionali in biologia marina e veterinaria.
Il San Paolo Dolphin Refuge si propone come un modello di tutela animale conforme alle normative europee più recenti. Il rifugio rappresenta per l’Italia e per il Mediterraneo una novità: è il primo centro che tenta la riconversione del concetto di “cattività” per delfini, privilegiando riabilitazione, monitoraggio e potenziale rilascio.
Quando i primi delfini arriveranno troveranno il loro habitat naturale. Senza spettacoli, senza applausi. Solo un ambiente controllato per ritrovare libertà gradualmente.

